In una tranquilla cittadina dello stato a sud di New York, la Oates, ambienta la sua nuova indagine tra le file della società americana, in un romanzo di limite, che punta una grossa lente d’ingrandimento su condizioni sociali disagiate, in cui la psicologia controversa dei rappresentanti è addetta all’ardente ricerca della stabilità personale; ricerca spesso costellata da vivide scene di violenza ed efferati delitti. Il nome della città è Sparta, anche se delle glorie di questo nome condivide solo la parte peggiore, quella dell’irrazionalità. Difatti Sparta è una piccola cittadina fangosa, noiosa e piovosa, insomma ciò che definiremmo la scelta adatta per un thriller.
Le azioni si svolgono durante gli anni ’80, la vicenda ha inizio con l’uccisione di Zoe, tremendo amo sensuale su cui s’impigliavano i bastoni più disparati, nella marmassa di vite presenti nella stessa Sparta. I sospetti si concentrano sull’ex marito della vittima, un indiano dal temperamento insignificante, un moscerino come tanti appoggiati sulla frutta marcia di quest’epoca di globalizzazione, abbandonato dalla stella Zoe, ormai cadavere, insieme al figlio Aaron e anche l’affascinante Eddy sposato con due figli. Il colpevole, ve lo anticipo, non verrà mai trovato, ma le due famiglie, non vivranno più una vita spensierata e lo si può ben capire dal punto di vista di una delle figlie di Eddy, Krista su cui è incentrata una parte del romanzo.
Krista all’epoca dell’omicidio non era altro che una bambina e crescerà con la mancanza incessante del padre che peserà come un macigno sul suo cuore, un padre che nonostante tutto, reputerà sempre innocente. Le riflessioni sull’amore filiale di Kriasta e le passioni violente sono parte integrante del romanzo, ogni pagina le intreccerà in modo sempre innovativo e conturbante, difatti alla crescita fisica di Krista si accompagnerà nel romanzo la sua crescita sentimentale che la porterà ad avvicinarsi sempre più ad un’altra figura sofferente quale quella di Aaron il figlio di Zoe.
Krista considererà Aaron il suo primo amore e la Oates sarà capacissima d’identificare lo spessore psicologico che sottende la sofferenza adolescenziale continuamente scontrosa e assillante. Mrs. Carol intreccia due vite spogliate della loro semplicità , le intreccia isolate nel tempo, descrive le loro ferite derivate da coltelli che negli anni affondano sempre più nei loro tagli, creando infezioni che deturpano l’anima fino all’ultima risorsa di spensieratezza, la privano di quella freschezza puerile e ne disegnano dei bordi discontinui dai quali sgorga il sangue di una vendetta che ben poco ha a che vedere con le stirpi future. Un libro sul significato profondo degli errori e di come un passo falso, possa portare alla rovina di molte persone, invece che la salvezza di una sola. Il fatto è che tutte le figure di questo libro sono degli Uccellini del paradiso, che vanno protetti e amati nella loro fragilità, ma vanno anche laciati liberi di sbagliare e di pagare per i loro errori:
–Lo è Krista perché si sente tredita da un mondo che, con le sue false certezze, non le permette d’essere spensierata e felice.
–Lo è Zoe, così desiderosa di sentirsi esistere, da aumentare ancor di più le sue doti sensuali e attrattive, al punto tale da desiderare una vita che non avrà avuto mai e che mai avrà più in futuro.
–Lo è anche Aaron, abbandonato al dolce-amaro destino di non essere mai stato desiderato, a d’esser visto solo come un peso.
–Lo sarà Lucille, casalinga impiegata al mantenimento della casa, alleggerita dal peso della vita della presenza del marito Eddy, che sarà per lei la realizzazione più grande di tutta la sua vita, il fine ultimo delle sue più grandi speranze.
Ognuno di noi è un piccolo uccellino del paradiso, fragile e assente, ognuno di noi meriterebbe di non essere identificato in degli status che ci riportano ad incasellarci in categorie ben definite e quasi meccaniche e angoscianti. La scrittrice sembra riprendere in questo libro la stessa essenza della maschera Pirandelliana nell’eccezione di uno, nessuno e centomila, nella sua qualifica di mutevolezza e d’instabilità.
Attraversare un guado: era questo che mi veniva in mente quando ci ripensavo.
Forse anche mia madre stava facendo lo stesso. Attraversava un guado. Passando da una terra nota a una ignota.
Da un luogo dove tutti ti conoscono a uno dove semplicemente credono di conoscerti.
Come quando attraversi a nuoto un fiume reale, imprevedibile e infido,
e se riesci a raggiungere l’altra sponda sei una persona diversa rispetto a quella che è entrata in acqua.
Occhi di tempesta
Joyce C. Oates