La vita di un omosessuale è fatta di microdrammi.
Una continua telenovela del dubbio: lo dico o non lo dico?
Come un topografo incerto perennemente indeciso su quali siano i confini fra la libertà individuale e il rispetto degli altri, dove arrivi il proprio diritto a vivere come vuole e dove cominci la necessità di rispettare le persone che gli sono vicine.
E quando le “persone” sono i propri genitori il topografo impazzisce. Alla fine rimane circondato in un quadratino in cui ogni passo è un rischio, con la sensazione, terrificante, che la propria felicità sia un’arma che prima o poi possa traboccare, ustionando chi gli è vicino”.
Matteo B. Bianchi questo libro lo scrive con leggerezza. Ed è questa la sensazione che si ha dal principio, di una leggerezza che spazza via un macigno così grosso che ci toglie ogni visuale.
E quando finalmente ce lo siamo tolti di mezzo, questo benedetto macigno, possiamo vedere il panorama.
C’è un bambino -perché questo è un romanzo di formazione, di quelli che gli adolescenti si passano di mano in mano studiandone ogni parola per ritrovarci dentro le proprie esperienze- e questo bambino una coscienza di sé già ce l’ha, solo che, ci dice con un’ingenuità spiazzante, “ignoravo che avesse un nome”.
Così il protagonista ci racconta, come in un diario in cui si annotano di getto le emozioni più vive, la vita di un adolescente dell’hinterland milanese, ripercorrendo le tappe che lo hanno portato a dare, più che un nome, un’identità a sé stesso.
Dal primo insulto, spartiacque con l’ingenuità infantile, alla prima esperienza sessuale con un portoghese dal sorriso accattivante, fino ad arrivare al tradimento di un amore vissuto nell’oscurità.
Il romanzo è un susseguirsi ironico e brillante di nuove sensazioni, feste con amici, viaggi alla scoperta di un mondo che incuriosisce e intimidisce allo stesso tempo.
Il tutto condito in una salsa pop anni ’80, che si mescola perfettamente con gli altri ingredienti.
Non manca nessuno, Giuni Russo, Heather Parisi, The Smiths, Sabrina Salerno…e soprattutto Boy George (“Generations of Love” è appunto un suo brano).
Pure soffia, ogni tanto, tra una battuta ed un commento sferzante, un vento un po’ più forte, che solleva situazioni più profonde, complicate.
Il momento in cui diventare sé stessi significa anche lasciarsi conoscere dagli altri.
Al libro di Matteo B. Bianchi si riconosce questo: l’aver saputo rappresentare un mondo più moderno, in cui il dramma non è l’unica via d’uscita, e vivere la propria identità è una scelta naturale, con cui si finisce inevitabilmente per fare i conti, anche se l’autore stesso sottolinea la propria fortuna in questo passaggio.
Chiaro e semplice, il linguaggio di Bianchi diventa un’arma perfetta che bilancia umorismo e riflessione.
And there’s much more we can say,
and there’s much more we can do,
and there’s much more we can learn,
Generations of love.