Letteratu.it

Traduttori d’emozioni

Una delle qualità che uno scrittore, uno scrittore bravo deve avere è senza dubbio quella di farsi portavoce dei sentimenti dell’umanità, traducendoli con le giuste parole. Le emozioni che proviamo, anche se del tutto personali, si può ben dire che sono, se non uguali, almeno simili. La gente in questo si assomiglia più di quanto non si creda. Ed è per questo che, quando il lettore ritrova in una frase, in un brano, quell’impulso, quell’istinto, quella condizione che ha già sperimentato, o addirittura quella risposta che cercava, non può che gioirne. Perché ha trovato la trasposizione, quella che attraverso i segni, le parole, dà voce alla propria anima, o almeno a come era in un determinato momento e la materializza in un’immagine.

Per esempio, un giorno, leggendo un romanzo di Murakami Haruki, Nel segno della pecora,  trovai la descrizione figurata di quando mi sentivo confuso:

Salii all’ultimo piano di un albergo, entrai nel bar, e ordinai una birra Heineken. Ci mise dieci minuti ad arrivare. Nell’attesa restai a occhi chiusi, un gomito poggiato sul bracciolo, la guancia sulla mano. Non riuscivo a pensare a nulla. Dietro le palpebre sentivo centinaia di omuncoli spazzarmi l’interno della testa a colpi di scopa. Sembravano intenzionati a continuare all’infinito, a nessuno veniva in mente di usare una paletta.”

Quante volte poi mi ero chiesto il perché di tanti divorzi. Gabriel Garcia Marquez, ne L’amore ai tempi del colera mi aveva spiegato l’arcano:

Era contro qualsiasi ragione scientifica che due persone che si erano appena conosciute, senza nessuna parentela fra di loro, con caratteri diversi, con culture diverse, e persino con sessi diversi, si vedessero impegnate di colpo a vivere insieme, a dormire nello stesso letto, a condividere due destini che forse erano stabiliti in sensi divergenti. Diceva:- il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l’amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione.”

Grazie a Andrea De Carlo e a Due di due ho imparato a spiegare la mia impotenza:

Lo so come ti senti. E’ come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l’unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.”

Come non riconoscere infine in questa frase semplice, disarmante, del Don Chisciotte di Cervantes, tutta la potenza della letteratura, quella capace di dire con l’artificio della ripetizione anche ciò che sembra indicibile.

“… in quel luogo perfino il silenzio serbava silenzio a se stesso…