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Allen Ginsberg, genio e sregolatezza del poeta della Beat Generation

Poeta simbolo della Beat generation, il nome e la fama di Allen Ginsberg si impongono nella scena culturale americana per l’intensa genialità e la schiettezza di tutta la sua produzione. Nato a Newark il 3 Giugno del 1926 la storia dell’ebreo-americano Ginsberg cominciò nel sobborgo di Paterson da dove mosse i primi passi verso le sue più grandi inclinazioni: la poesia e la letteratura. Figlio di un professore e di una attivista politica con problemi mentali, il giovane Allen crebbe appassionandosi a temi sociali e politici e partecipando in seguito al dibattito americano su una revisione della società e della politica al termine della seconda guerra Mondiale che aveva devastato l’Europa ma sconvolto anche indirettamente gli USA.

Quando si iscrisse alla Columbia University per seguire gli studi giuridici, entrò in contatto con alcuni personaggi che rivoluzioneranno la sua stessa vita: Lucien Carr, Jack Kerouac, William S. Burroughs e Neal Cassady; filosofi e studiosi dall’animo travagliato e dalla vita condizionata dall’uso di sostanze stupefacenti. Accanto a queste conoscenze, saranno le letture di Walt Whitman, William Blake, Ezra Pound a caratterizzare parte della sua produzione poetica e letteraria. E’ lo stesso Ginsberg a raccontare in una delle sue numerose interviste che nel 1948 leggendo ad alta voce una poesia di William Blake ebbe una sorta di visione in cui si materializzò lo spirito del poeta inglese.

Tra suggestione e allucinazione questo evento avrà per il poeta un profondo significato e lo accompagnerà come un ricordo catartico per tutta la sua esistenza. Personaggio sui generis, intellettualmente vivace quanto scabroso per il linguaggio colorito, accesso e spesso accusatorio, ricevette aspre critiche e polemiche negli USA e in Europa tanto che in più occasioni tra gli anni “60 e “70 fu condotta anche da media ed istituzioni una crociata contro le sue opere, finanche la censura .

Accadde per “Urlo”, un vero e proprio poemetto di impronta Beat. Pubblicato nel 1956 e letto per la prima volta da Ginsberg il 13 Ottobre 1955 al “The six Gallery reading” alla presenza di un cenacolo di artisti e scrittori tra i quali gli amici Jack Kerouac, William S. Burroughs e John Clellon Holmes, “Urlo” ricalca per tecnica e musicalità del verso il canto di apertura di “Foglie d’erba”, una delle opere più celebri di Whitman. Nelle intenzioni del suo autore questo libro è al tempo stesso una ballata e un manifesto-denuncia che mira a sconvolgere e scuotere la coscienza di un’America bigotta che si nasconde dietro al dito di un moralismo insopportabile. Il celebre incipit di Urlo resta un cult del genere beat e della cultura hippy degli anni “60:

“Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude
strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una
pera di furia
hipsters testadangelo bramare l’antico spaccia paradisiaco
che connette alla dinamo stellare nel meccanismo
della notte,
che povertà e stracci e occhiaie fonde e strafatti stavan lì
a fumare nel sovrannaturale buoio di case con acqua fredda
librati su tetti di città contemplando jazz…”
(Urlo e Kaddish, Il Saggiatore, 1997, pag 23)

Tra gli anni “50 e “70 Ginsberg si spostò tra la costa Occidentale e quella Orientale degli Stati Uniti. A San Francisco frequentò il circolo degli scrittori della San Francisco renaissance ed in questa città conobbe l’uomo a cui fu legato per quasi tutta la vita, Peter Orlovsky che contribuì ad animare la nascente scena Beat. Dopo la censura di Urlo, avvenuta proprio a San Francisco, i due partirono per l’Europa dove furono accolti a Parigi.

Qui fondarono il Beat Hotel, un vero e proprio ritrovo di poeti e scrittori frequentato anche da Kerouac, Burroughs e altri amici. A Londra Ginsberg iniziò un vero e proprio pellegrinaggio di letture e presentazioni dei suoi scritti in librerie, centri culturali e presso le residenze di altri scrittori amici del Beat. La sua fama iniziò a crescere assieme alle sue opere: saggi, romanzi, poesie e ballate. Significativo e toccante è “Kaddish”, un lamento funebre dedicato alla madre, intenso quanto delicato per il rispetto e la tenerezza che emerge dai suoi ricordi. Scrisse “Reality Sandwiches”, “Planet News”, “Da New York a San Francisco” poetica dell’improvvisazione ed il postumo “Morte e fama”, raccolta di pensieri e poesie pubblicata dopo la sua morte.

Leggendo “Da New York a San Francisco” si può cogliere qualcosa di più della poetica di Ginsberg visto che nella seconda parte del testo viene riportata integralmente la conversazione intercorsa il 26 Novembre del 1968 tra l’autore ed alcuni amici scrittori a proposito della sua tecnica. Vorrei riportarne qui un frammento:

“Il modo in cui pensiamo, questo è il problema. Com’è che pensiamo davvero? In altre parole, si tratta di una forma di yoga: tentare di pronunciare ad alta voce i pensieri che ti passano per la testa. Ma per riuscire a farlo devi riuscire a capire in che modo i pensieri ti passano per la testa. Ci passano in forma di immagini? O come serie di parole, o ti passano per la testa come frasi intere o spezzoni di frasi? Ad esempio Burroughs non vede parole-non gli passano per la testa parole, gli passano per la testa immagini. Quindi il suo metodo di composizione richiede che stia seduto alla macchina da scrivere e che, tipo, stia a guardare il muro da qualche metro di distanza, e allora le immagini gli si illuminano nella mente come padreterni seduti a uno sgabello di bar che lappano miele con la lunga lingua da rettile..”(Da New York a San Francisco, poetica dell’improvvisazione, minimum fax, pag 69)

Quando negli anni “90 la malattia si impose, la visione di Ginsberg si fece ancora più intimista scrivendo tra le sue più belle pagine di riflessioni sulla politica internazionale, le piaghe del mondo ed il senso imminente della morte. Le sue poesie sulla guerra in Bosnia Erzegovina , il genocidio in Rwanda, la I guerra del Golfo, e poi ancora sul Karma, le droghe, sono versi che giungono alla coscienza del lettore.

Pochi giorni prima di morire (il 5 Aprile del 1997) lasciò un taccuino con numerosi appunti, poesie e lettere, ricchi di spunti ironici come la poesia che lesse all’amico Bob Rosenthal mentre si recavano in taxi all’Ospedale di Boston:

“Quando muoio
Non mi importa cosa succedo al mio corpo
Buttate le ceneri in aria, spargetele sull’East River
Sotterrate un’urna a Elizabeth, New Jersey, nel cimitero
Ebraico della B’mai Israel
Ma voglio un funerale in grande…”

*”Viaggio nel grande verde.Burroughs-Ginsberg lettere dallo yage”, Sugargo Edizioni-Milano 1991, pag 97