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Pazzie di entomologo

Per la maggior parte dei lettori una mosca è una mosca. Le sue forme comuni e immediate evocano quasi esclusivamente fastidio. Non è così per tutti, per gli entomologhi specialisi di sirfidi, come Fredrik Sjöberg. Gli entomologi nell’immaginario comune non sono altro che poveri pazzi in calzoncini che rincorrono farfalle. Ma l’autore tiene a rimarcare una certa differenza rispetto ai collezionisti di sirfidi, che sono di tutt’altro stampo: più aristocratici, loro le mosche non le rincorrono, le attendono, riconoscendone prima il ronzio e poi i colori, la disposizione delle ali, il battito più o meno veloce.

Come si diventa quasi esistenzialisti parlando di mosche? Quanto c’entra la letteratura con la “bottonologia”, questa beata scienza del futile? Ma la geologia va pari passo con il collezionismo, e quest’ultimo con la psicologia. Scegliendo con cura scrittori ed esploratori, quando non sono scienziati ed entomologi, Sjöberg traccia un percorso storico e naturalistico. Senza essere un romanzo, L’arte di collezionare mosche (edito da Iperborea) ha un non so che di fiabesco, un’atmosfera a volte onirica e sospesa tra un momento di divulgazione e un racconto avventuroso. E chiudendo il libro ci si sente come a volerne sapere di più su questo scienziato-osservatore-scrittore, che scomoda grandi esploratori, ma anche scrittori dell’importanza di D.H. Lawrence e Bruce Chatwin.

E quando dico che il paesaggio può trasmettere una specie di esperienza letteraria a diversi livelli di profondità, intendo proprio questo: prima di tutto bisogna conoscere la lingua. In un dizionario tutto fatto di animai e di piante, dunque, le mosche sono vocaboli in grado di narrare storie di ogni tipo seguendo il codice delle leggi grammaticali dell’evoluzione e dell’ecologia.

L’entomologo deve essere pronto alla solitudine. La vera solitudine, quella che impedisce la condivisione, se non con qualche altro appassionato dall’altro capo del mondo. È nella solitudine della sua isoletta a largo di Stoccolma, che questo entomologo lavora senza sosta, attende e osserva, delimitando il suo raggio d’esplorazione.

Continuava a trarre la sua unica soddisfazione dal fatto di essere solo, assolutamente solo, a impregnarsi di spazio. Solo il mare grigio, e il sostegno della sua isola bagnata dal mare. Nessun altro contatto. Nulla di umano il cui correre potesse giungere a sfiorarlo. Solo spazio, umidità, crepuscolo, spazio bagnato dal mare! Questo era il pane della sua anima.

Forse l’approccio ecologista non è il più corretto per affrontare questo libro, ma non si può ignorare il sottotesto di amore per l’ambiente e per la biodiversità, nonostante il distacco ironico con cui l’autore descrive il suo lavoro. Riesce a parlare di bellezza in un discorso scientifico, e non è poco.