Letteratu.it

Marguerite Yourcenar e Adriano: “la responsabilità della bellezza”

…e il bel viso immobile pareva tremare…

(Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano)

 

Sembra ancora di vederlo, Adriano, sulle terrazze della Villa ad osservare l’onesto andirivieni del giardiniere, così come sembra di vedere Marguerite, tra quelle rovine libere e selvagge come lei le definì, col cuore colmo di quel sentimento di appartenenza alla folla di segretari del grand’uomo o a camminare per le vestigia della residenza e poi sedersi sotto il vecchio leccio, come un umanista o un poeta, fiero membro di una cerchia di spiriti attratti dalle stesse simpatie e pensosi degli stessi problemi. Perché ancora oggi, a distanza di tanti anni, è impossibile parlare dell’imperatore Adriano senza parlare di Marguerite Yourcenar e viceversa: l’uno ha parlato per mezzo dell’altra che ha cercato ardentemente di instaurare un legame che attraversasse i secoli e restasse vivo e presente, sotto i nostri occhi e dentro i nostri cuori, divenendo pressoché indissolubile.

A tale proposito è impossibile non ricordare questo passaggio dei Taccuini: “Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. La vita di mio padre la conosco meno di quella di Adriano. La mia stessa esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei dall’esterno, a fatica, come se fosse quella d’un altro. Dovrei andare in cerca di lettere, di ricordi d’altre persone, per fermare le mie vaghe memorie. Sono sempre mura crollate, zone d’ombra.”

E tra quelle mura crollate, quelle zone d’ombra Marguerite ha ‘trovato’ e ‘raccolto’ le Memorie di Adriano che sono diventare fondamentali per la conoscenza di un uomo e di un’epoca, interiorizzate da ognuno dei suoi lettori, in ogni angolo del mondo, per generazioni.

A ricordare quell’impresa straordinaria ci pensa, in questi mesi, anche una mostra che, esattamente a dieci anni dalle celebrazioni per la nascita della scrittrice franco-belga, ha luogo a Tivoli, a Villa Adriana, intitolata Marguerite Yourcenar. Adriano, l’antichità immaginata (fino al 3 novembre 2013) che ripercorre il lungo e travagliato iter del suo capolavoro, la cui prima concezione e stesura risalgono al 1924-1929 (quindi molto prima del 1951, anno della pubblicazione) quando, turista pellegrina e straniera, Marguerite si recò per la prima volta in Italia con il padre Michel e visitò la Villa. Aveva tra i venti e venticinque anni, come ci ricorda una foto famosissima tra le tante esposte.

La mostra fornisce un’ampia conoscenza dell’enorme lavoro di studio della scrittrice, svolto a più riprese, per fare e rifare questo ritratto di un uomo quasi saggio, attraverso l’esposizione di carteggi, cartoline, fotografie d’epoca, interviste, ricordi di testimoni, sculture ed incisioni.

Del resto, la stessa Yourcenar nei Taccuini degli appunti, esposti per la prima volta in Italia in questa mostra, aveva già fornito, con dovizia di particolari, innumerevoli spunti per una ricostruzione di quel percorso che comprese tanto la lettura dei classici dell’antichità, dei saggi storici antichi e moderni, delle biografie di ogni epoca, che una lettura calligrafica e puntuale dell’arte greco-romana, mediante le opere d’arte, sculture soprattutto, che furono e sono parte integrante dello studio di Adriano e della sua epoca come i ritratti in mostra. Perché Marguerite, in realtà, si preoccupò molto, esattamente come Adriano, di curare l’immagine che di se stessa sarebbe stata tramandata ai posteri, attraverso volumi autobiografici, ben tre, e una selezione maniacale, talvolta anche sottoposta ad un’attenta manipolazione, delle lettere personali che sarebbero state poi pubblicate.

La scrittrice e  l’imperatore sembrano essere legati a doppio filo da una comune volontà: quella di ricostruire la vita, il pensiero e le opere di un uomo e raccogliere un’eredità senza tempo da trasmettere attraverso tracce tangibili del suo passaggio.

“Altre Rome verranno e io non so immaginarne il volto; ma avrò contribuito a formarlo : in queste parole di Adriano sembra racchiuso un compito,una missione da condividere con Marguerite perché se tanto deve Roma ad Adriano, dal Pantheon costruito da Agrippa nel 27-25 a.C., distrutto da un incendio nell’80 e fatto ricostruire da Adriano tra il 118 e il 125 d.C. alla stessa Villa Imperiale (Villa Adriana) 120-138 d.C. e al Mausoleo (poi Castel Sant’Angelo) 132-139 d.C. ultimato dopo la sua morte, altrettanto devono Roma e Adriano all’immagine che ne è stata data da Marguerite attraverso le sue pagine. Del resto l’imperatore, che si sentiva un Ulisse senz’ Itaca che quella interiore, straniero dappertutto ma non particolarmente isolato in nessun luogo, sentiva una specie di cordone ombelicale che lo legava all’Urbe, la Città Eterna, come per primo la definì, un legame che ciascuno di noi riesce ad avvertire dentro di sé, attraverso la lettura delle Memorie e visitando la città e i suoi luoghi, perché Roma è l’espressione più umana e più autentica della grandezza e della bellezza creata dall’uomo e, proprio per questo, possiamo stare certi che “Roma non perirà che con l’ultima città degli uomini.”

Innamorato dell’arte, invasato di letteratura, lo studente greco che nutriva una certa avversione per gli svaghi romani e un amore profondo per il mondo ellenistico, sognava una sovranità olimpica e viaggiò per l’impero adoperandosi per portare pace e bellezza perché, come dice nelle Memorie, si sentiva “responsabile della bellezza del mondo”.

Di quella bellezza Adriano fu creatore e protettore, in ogni luogo in cui si recò e con ogni mezzo a disposizione, esaltando l’arte greca nella sua rappresentazione del corpo e dell’animo umano. Noi soli abbiamo saputo mostrare in un corpo immobile la forza e l’agilità che esso cela ; noi soli abbiamo fatto d’una fronte levigata l’equivalente d’un pensiero. Io sono come i nostri scultori: l’umano m’appaga. Vi trovo tutto, perfino l’eternità.”

E l’immagine più bella, più autentica, più umana, più appagante ed eterna per Adriano fu certamente quella del giovane di Bitinia Antinoo,  per il quale l’imperatore nutrì un amore profondo, tanto da divinizzarlo dopo la morte, avvenuta misteriosamente, a soli vent’anni:  “Non appena egli cominciò a contare nella mia vita, l’arte ha smesso di essere un lusso, è diventata una risorsa, una forma di soccorso. Ho imposto al mondo questa immagine: oggi, esistono più copie dei ritratti di quel fanciullo che non di qualsiasi uomo illustre, di qualsiasi regina.” E ancora: “Contavo disperatamente sull’eternità della pietra, sulla fedeltà del bronzo, sul perpetuare un corpo perituro o già distrutto, ma insistevo anche perché il marmo, a cui facevo dare ogni giorno una pulitura d’olio e di acidi , assumesse la lucentezza, quasi la morbidezza delle carni adolescenti.”

Tra le tante effigi di Antinoo, le più belle, secondo la Yourcenar, sono il bassorilievo di Antinoo di Antoniano di Afrodisia (oggi nella collezione Fondazione Cariplo) e la pietra incisa c.d. Gemma Marlborough, probabilmente opera dello stesso Antoniano, passata di mano in mano nei secoli, in Italia e all’estero, e ora di un collezionista privato, rispetto alla quale il solo pensiero che Adriano possa averla tenuta tra le mani, la rende ancora più preziosa e riempie il cuore di una grande emozione.

Ma tra le tante passioni di Adriano non ci fu solo quella per l’arte ma anche quella per i libri, considerati uno strumento per valutare l’esistenza umana insieme allo studio di sé e all’osservazione degli uomini. Come ha scritto la Yourcenar nei Taccuini: Uno dei modi migliori per far rivivere il pensiero di un uomo è ricostruire la sua biblioteca” e così lei ha fatto, perché se è vero che Adriano si sarebbe trovato molto male in un mondo senza libri, anche se non è lì che si trova la realtà, la parola scritta inizialmente gl’insegnò a capire l’uomo ma vivere la vita, col tempo, gli chiarì alcuni libri. Il libro, quindi, quale luogo d’elezione e luogo natio, prima vera patria.

Marguerite Yourcenar ha costruito un monumento ad Adriano, tanto grande e potente quanto le opere che rimangono nei luoghi vicini o più remoti dell’impero, dove l’imperatore si spinse per conoscere, pacificare, amare, preservare e costruire la cultura e la bellezza.

“Qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche.” Indubbiamente Marguerite lo ha fatto.

Chissà come reagirebbe, lei che abitava Tivoli come Adriano nell’isola di Achille, che già si lamentava dei pericolosi abbellimenti apportati alla Villa nelle sue ultime visite, nel trovarla oggi periodicamente minacciata dall’incuria e dalle discariche.

Eppure basterebbe cogliere la loro straordinaria lezione di responsabilità perché Marguerite Yourcenar sapeva, esattamente come Adriano, che laddove la bellezza si allontana l’autenticità la segue.

Inevitabilmente.