Una volta, in sogno, mi chinai verso il suo orecchio, lui stava scrivendo qualcosa, curvo sulla sua scrivania a lume di candela, e gli sussurrai piano:
“Giacomo… che cos’è il male?”
Lui smise di scrivere, non si voltò verso di me, guardava in avanti verso un punto indefinito, e poi chinando di nuovo il capo mi rispose a labbra strette:
“Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male: che ciascuna cosa esiste è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; …” [ Zibaldone, pag. 4174 ]
“Vide da lontano un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell’isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; …”
[ “Dialogo della Natura e di un Islandese” ]
Il male è tutto ciò che esiste.
Signori e signore, chi vi parla, è Leopardi. Giacomo Leopardi.
Un autore da trattare con i guanti, ecco perché non ve l’ho mai proposto.
‘Dialogo della Natura e di un Islandese’. Io per fortuna, l’ho sentito spiegare da una delle insegnanti più brave della ‘Sapienza’. Lei parlava, e io mi persi nelle sue parole. Il mondo intorno a me scomparve e vidi immediata e precisa l’immagine della Natura, sotto forma di donna, terribile eppure incredibilmente affascinante. Simbolo del male per l’uomo ( secondo Giacomo ), sedeva in una posa elegante, quasi fatale, col volto più bello degli angeli e appunto per questo immobile ed inquietante nella sua ultraterrena bellezza. Un po’ come Lucifero, simbolo del male più assoluto eppure di una perfezione stupefacente. Poggiava il gomito su una montagna, con disinvoltura toccava ciò che essa stessa aveva creato, ciò che da sempre era stato suo perché nato da lei. È la storia di un uomo che fugge, cercando ciò che in realtà non esiste: la libertà. La storia di un uomo che racconta la storia di tutti gli uomini.
“ … ; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto, tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano”.
È la storia di un uomo che cerca di liberarsi dal male.
“… ; mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere”.
Tutto ciò che esiste è male, ed ogni cosa proviene da esso. Ciò che all’apparenza può rispecchiare serenità e tranquillità cela in sé i semi della sofferenza e del patimento. Anche un giardino in fiore, sotto un sole splendente, nasconde i segreti della sofferenza stessa, nei movimenti di un ape, in un petalo toccato dal sole, nel calore che brucia i tronchi degli alberi.
Attenzione dunque, a non perdervi nel labirinto dei pensieri di Giacomo, che è in continuo movimento, pieno di insidie e dietro l’angolo nasconde il Minotauro più pericoloso. Io stessa ancora devo trovarne l’uscita, per cui sto seduta qui ad osservare le ragioni che lui stesso mi sussurra all’orecchio appena apro i suoi libri. Un Virgilio un po’ insolito, non vi guiderà certo verso la salvezza, ma verso la perdizione più totale, quella dei pensieri e dei nodi impossibili da sciogliere, fino a convincervi che si, è proprio così. Tutto è male. La Natura, la madre di tutti noi, colei che ha forgiato gli stessi occhi con cui guardiamo il mondo è totalmente indifferente ai nostri affanni, essa giace immobile tra le Acque dell’Africa. Ogni testo di Giacomo si ricollega ad un altro, e la radice di ognuno di loro si confonde tra le innumerevoli voci dello Zibaldone. Ogni pensiero ha la sua radice e il suo attestato di nascita in questo testo, che è continuo movimento e cambiamento. Non illudetevi di conoscerlo o di poterlo catalogare. È l’infinito e il finito insieme. È la vita e la sua contraddizione.
“L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’ imperfezione, un’ irregolarità, una mostruosità”.
Estratti dalle pagine dello Zibaldone. Quando ho letto queste ultime pagine, mi sembrava che a parlare fosse la Natura, la stessa del ‘Dialogo della Natura e di un Islandese’, come se desse un ulteriore risposta alle domande e alle accuse che l’uomo muoveva a lei. Come se a distanza di anni, parlasse ancora attraverso la mano di Giacomo. Ma d’altronde, non sarebbe cosa tanto originale ritrovarla dopo anni, poiché è lei la vera grande protagonista del pensiero del poeta recanatese. La donna onnipresente, amica e poi nemica, madre e poi matrigna, dapprima amata e celebrata come un tempo facevano le vestali, e poi, una volta conosciuto il suo lato oscuro, quello cattivo, quello malevolo, quello del male, ripudiata.
Ci sono momenti in cui mi sembra di comprendere appieno i pensieri di Giacomo; per istanti brevissimi mi par di cogliere tutti i significati dei suoi pensieri e di collegare ogni cosa, ogni ragionamento, ma quando provo ad afferrarlo tutto scompare e fugge via. Ci sono momenti in cui mi guardo attorno e mi sembra di vedere oltre ciò che realmente appare, concentrarmi sulla crepa di un muro e vedervi altro. Passeggiare tra i prati di Villa Borghese e carpire, per brevissimi istanti, ciò che a primo sguardo non si coglie. Come se fosse tutto una copertura, una patina d’apparenza, e immagino un giovane Leopardi camminare pensoso tra quegli alberi, sfiorarli appena con la mano, e compatirli quasi, come se comprendesse il loro patimento, come se lo sentisse suo, come se capisse che nella vita di un albero fosse racchiusa in realtà l’esempio dell’intera esistenza umana, con la rassegnazione che ogni cosa è soggetta al male.
Poi mi scuoto dai miei pensieri, ascolto il suono del vento tra le foglie, e un lontano cinguettio di uccelli. Mi consolo pensando che non può essere tutto lì, non può essere tutto una facciata, non è possibile che sia quello il nostro destino.
“Giacomo allora come fare? Rinnegare ogni cosa, rinnegare la Natura ?”
Lui si voltò, mi guardò negli occhi severo e rassegnato e con voce decisa mi rispose:
“… è manifesto che colui che ignora una parte, o piuttosto una qualità una faccia della natura… ignora un’infinità di rapporti, e quindi non può non ragionar male, non veder falso, non iscuoprire imperfettamente, non lasciar di vedere le cose le più importanti, le più necessarie ed anche le più evidenti. Scomponete una macchina complicatissima, toglietele una gran parte delle sue ruote, e ponetele da parte senza pensarvi più; quindi ricomponete la macchina, e mettetevi a ragionare sopra le sue proprietà, i suoi mezzi, i suoi effetti: tutti i vostri ragionamenti saranno falsi, la macchina non è più quella, gli effetti non sono quelli che dovrebbero…” [ Zibaldone pag 3236 ]