Ogni fiaba offre la possibilità di trascendere i limiti del presente e dunque, in un certo senso, ci permette alcune libertà che la vita ci nega. Tutte le grandi opere di narrativa, per quanto cupa sia la realtà che descrivono, hanno in sé il nocciolo di una rivolta, l’affermazione della vita contro la sua stessa precarietà. Ma è nel modo in cui l’autore riracconta la realtà, e ne acquisisce il controllo dando origine a un mondo nuovo, che questa rivolta prende forza: tutte le grandi opere d’arte, avrei dichiarato con solennità, celebrano l’insubordinazione contro i tradimenti, gli orrori e i tranelli della vita. La perfezione e la bellezza del linguaggio si ribellano alla mediocrità e allo squallore di ciò che descrivono.
Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi
Durante i venti anni successivi alla rivoluzione khomeinista l’iraniana Azar Nafisi, docente di letteratura inglese all’Università di Teheran si è trovata a cimentarsi “in un’impresa fra le più ardue, e cioè spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura sempre crescente alla catechesi islamica una delle più terribili incarnazioni dell’Occidente: la sua letteratura”. Le vittime di Khomeini erano soprattutto le donne, alle quali venne sequestrata l’esistenza. Le ragazze erano punite se salivano correndo le scale dell’università per non giungere in ritardo alle lezioni, se ridevano nei corridoi, se parlavano a un ragazzo, che fosse anche il fratello, se portavano la cipria e il mascara, se nascondevano nella borsa romanzi,se avevano le unghie o le ciglia troppo, se camminavano con la testa eretta. Ma nell’autunno del 1995, Azar Nafisi sfinita dal proibizionismo e dalla fatica, dà le dimissioni da ogni incarico accademico decide di coltivare un sogno e trasformarlo in realtà. Chiede alle sette sue migliori studentesse di andare ogni giovedì mattina a casa sua per parlare di letteratura. Gli studenti maschi vengono esclusi, ma solo perchè costituire un gruppo misto sarebbe troppo pericoloso. Il seminario, raccontato con passione e amore, purtroppo si interrompe nel 1997 quando Azar decide di lasciare l’Iran e di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti dove oggi insegna Letteratura inglese alla John Hopkins University.
“Leggere Lolita a Teheran”, edito da Adelphi nel 2007, offre l’immagine di una parte della storia civica e del popolo iraniano, osservato dal punto di vista di chi quella storia l’ha vissuta sulla propria pelle ma è soprattutto l’appassionante racconto di un seminario quasi clandestino, in cui per due anni sette giovani donne e la loro insegnante, in un salotto qualunque, dimessi veli e chador che per imposizione indossano, tra caffè e pasticcini, storie private e critica letteraria, discutono di Nabokov, Fitzgerald, Jane Austen ed Henry James, mettono a confronto finzione e realtà, fiaba e storia, sogno e concretezza del quotidiano. Durante ogni incontro si parlerà di Lolita, si parlerà di Jane Austen ma si parlerà soprattutto della difficoltà e della complessità di essere donne in Iran, si racconterà di mariti violenti e di abusi, si parlerà di matrimoni combinati e decisi a tavolino, di violenze fisiche e psicologiche che ogni giorno per motivi futili queste donne sono costrette a vivere. Ma Azar Nafisi parla di voglia di riscatto, di fuggire ma anche della paura di farlo e non in ultimo si parlerà di amore.
In un romanzo di tale portata ecco che la letteratura diviene una via di fuga, un’ancora di salvezza, un piccolo angolo di paradiso nell’inferno della proibizione e della libertà violata. Questo è un romanzo pieno di dolore e sofferenza, nostalgico per certi aspetti e allegro nei racconti di una quotidianità nascosta in maniera totalmente innaturale, e un libro terribile ma soprattutto carico di sogni, aspettative e speranze, che da private si trasformano, non dissertando la lotta morale, in realtà.