La prescelta e l’erede è il secondo volume della trilogia di Kushiel, dedicata alle avventure di Phèdre, scritta da Jacqueline Carey e pubblicata in Italia da Tea. Il primo volume, Il dardo e la rosa, mi era piaciuto moltissimo, e mi aveva emozionato in particolare per l’intensità delle storie d’amore, mai melense, anzi spesso contraddittorie, e per una straordinaria protagonista femminile. Nella seconda parte della saga l’autrice ha deciso di lasciare meno spazio all’amore, concentrandosi piuttosto sull’evoluzione di un personaggio che già alla fine del primo libro aveva affrontato numerose prove incredibilmente formative.
È sicuramente Phèdre uno dei motivi principali per cui amo questa saga. È un esempio di personaggio femminile forte, risoluto e coraggioso, ma che, nello stesso tempo, sa mostrare le sue debolezze quando le circostanze lo richiedono e porta con sé un importante carico di grazia e gentilezza che non manca di stupire e conquistare chiunque si mostri sul suo cammino. Phèdre è una serva di Naamah, una cortigiana, che parte dalla città di Elua, in Terre d’Ange, per andare alla ricerca della donna che ha tradito la sua patria e ha cospirato per prendere il trono, Melisande. Pur sapendo cosa essa ha fatto, pur essendo a conoscenza della malvagità che abita il suo cuore e avendo provato sulla sua pelle la sua abilità in truffe e inganni, Phédre non può fare a meno di provare qualcosa per questa figura terribile e affascinante. Forse, persino, la ama.
In questo secondo capitolo, Jacqueline Carey porta il lettore a esplorare parti di quel territorio fantastico che ha creato partendo da territori realmente esistenti, ma rielaborandoli in modo del tutto originale. Mescolando leggenda e storia, l’autrice crea un mondo di favola, ma che nello stesso tempo si pone in maniera talmente potente di fronte all’immaginazione del lettore da risultare assolutamente tangibile e reale. Non si ha l’impressione di essere di fronte ad un romanzo fantastico, ma ad uno storico. Perché l’abilità dell’autrice sta anche nella ricostruzione minuziosa dei dettagli più minuscoli, che si parli di dinastie, di toponimi o di genealogie divine. Qua e là si riescono ad individuare le fonti, ma sarebbe interessante approfondire le influenze che hanno agito sull’autrice, che non si limitano, probabilmente, alle storie tratte dalla mitologia greca e latina che tutti conosciamo almeno un po’.
Ho apprezzato, di questo romanzo, il modo in cui Phèdre si fa strada in molti territori ostili, facendo appello tanto alla sua intelligenza e ai suoi studi quanto alla sua innata sensualità. I suoi rocamboleschi spostamenti, inoltre, donano un movimento ininterrotto alla trama, che si fa avvincente dalla prima all’ultima pagina. Non bisogna farsi spaventare dal numero di pagine, perché è un romanzo che si divora in pochi giorni.