Immaginatevi di fronte un semaforo alla periferia di una città veloce e indaffarata. Clacson di qua, urla di là, gente che corre, persone che vi urtano, smog, rumori frastornanti. Ora pensate di poter premere un tasto, fermare questa scena infernale e guardarvi attorno. Sentirete solo il dolce suono del silenzio. E vi meraviglierete di pensare che in quel turbinio di voci e rumori costanti c’era tuttavia del silenzio: quello della mancanza di comunicazione e di intesa fra voi e l’ambiente attorno.
Esistono vari tipi di silenzio e diverse sensazioni che da essi scaturiscono. C’è il silenzio rilassato della calma e del riposo, il silenzio del mondo intorno a voi quando vi stendete su di un prato in mezzo al verde. C’è il silenzio di un bambino che dorme dopo aver pianto tanto, o il silenzio rancoroso e arrabbiato di un alunno sgridato. C’è il silenzio costruttivo della meditazione, e quello frustrante della solitudine. Paul Goodman, nel suo libro Speaking and Language, descrive 8 tipi diversi di silenzio. “Parlare o stare in silenzio sono entrambi modi di stare nel mondo e vi sono vari tipi e qualità di entrambi. C’è il silenzio intontito dell’apatia, il silenzio altero del viso di un animale, il silenzio fertile della consapevolezza che nutre l’anima da cui emergono nuove idee, il silenzio vivo della percezione attiva, pronta a parlare, il silenzio melodico che accompagna un’intensa attività, il silenzio dell’ascoltare l’altro parlare, il silenzio rumoroso del risentimento e della recriminazione, il pacifico silenzio delle persone in comunione col mondo […]”.
Non parlare sottende un discorso silenzioso con noi stessi che porta alla comprensione profonda del nostro io, ad una conoscenza del rapporto fra noi e gli altri, e conduce allo sviluppo di nuove idee. La stessa parola deriva dal latino desinere, che significa fermarsi, terminare un’azione. Come scrive George Prochnik in In Pursuit of Silence: Listening for Meaning in a World of Noise (Alla ricerca del silenzio: ascoltare per significare in un mondo di rumore), “la ricerca del silenzio è differente da altre forme di ricerca e in genere inizia con l’abbandonare una corsa per imporre il nostro volere e la nostra visione del mondo”.
Il suono e il rumore ci conferiscono una versione della realtà che non è la nostra, ma quella di altri. Così nel traffico e nel caos quotidiano, veniamo sommersi da rumori feroci e molesti di sirene, motori, slogan pubblicitari che altro non fanno che disturbare la voce interna della nostra creatività e del nostro approccio col mondo. Stare in silenzio vuol dire appropriarsi dei propri pensieri, farli nascere, crescere e sviluppare, pronti per essere comunicati agli altri. Meditare e riflettere in silenzio popola la nostra giornata di idee, creatività, sogni e progetti che nel chiasso resterebbero inascoltati, sepolti nella polvere della banale rumorosità.
Restare in silenzio diventa quindi un modo intenso e profondo di esplorare sé stessi e poi il mondo insieme agli altri. La comunicazione non prescinde dal silenzio, ma ne è sua diretta erede. Come Simon & Garfunkel cantavano in una loro canzone, “il silenzio uccide come il cancro”, non perché si sta zitti, ma perché nel rumore assordante del caos circostante non riusciamo a comunicare con gli altri, e “le persone parlano senza dire, sentono senza ascoltare”. Restano silenti nel chiasso mortale.