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Discesa di un uomo compiaciuto

Dalla prefazione scritta da Matteo Collura a La morte di Ivan Il’ič di Lev Tolstoj:

Vivere, secondo tutte le religioni di tutte le civiltà, è un prepararsi a morire. Persino i senza religione, gli atei, ammesso che ve ne siano di perfettamente tali, a un certo punto della loro esistenza non possono non pensare alla morte come ad un traguardo che, nel suo estremo apparire, dà un senso alla vita.

Ivan Il’ič è un brillante funzionario statale, lontano da ogni indecenza e ben deciso a comportarsi nel modo ritenuto più opportuno dalla società: scrupoloso, onesto e incorruttibile. Una persona davvero per bene, Ivan Il’ič, con una carriera impeccabile e un matrimonio che almeno all’inizio non disturba il suo quieto vivere. Dalla vita cerca solo piacevolezza e costruisce e arreda il suo mondo in base a quest’esigenza. Non c’è niente che valga abbastanza per disturbare il fluire liscio dei suoi giorni. Tolstoj segue la discesa di un uomo compiaciuto, senza dubbi o tensioni al di fuori dell’ambito lavorativo. Tutta la sua leggerezza guadagnata negli anni svanisce quando scopre di essere malato, e con questo, di essere prossimo alla morte. Colto impreparato a questo inevitabile epilogo, Ivan Il’ič non può far altro che disperarsi e perdere totalmente cognizione di sé in virtù di una nuova lucidità.

Il matrimonio… come per caso, e la delusione, il profumo della bocca della moglie, la sensualità, l’inganno! E quel lavoro morto, le preoccupazioni finanziarie, un anno, due, dieci, venti, sempre uguale. E più si andava avanti, più tutto era morto. Come se fosse disceso lentamente da una montagna, immaginandosi di salirla.

Petr Ivanovic, collega e compagno di tavolo ai giochi di carte, gli fa visita per l’estremo saluto, ma la sua premura nasconde il sollievo di assistere alla morte altrui e non alla propria. Ciò che spiazza è il riassunto, la vita di Ivan Il’ič è facilmente riassumibile in poche, precisissime, pagine. Quel poco che c’è da dire si inserisce senza sforzi in un sommario limpido e conciso, un racconto breve per una vita altrettanto breve e scarna. Perché tra tutti i momenti cosiddetti “piacevoli” provati dal protagonista, non ne esiste uno che l’abbia segnato davvero.
Quello che Tolstoj dona al suo protagonista non è altro che un antidoto, un “balsamico e definitivo rasserenamento” di fronte all’ineluttabilità dell’esistenza. Se davvero si può vivere fintanto che si è entusiasti della vita, allora Ivan Il’ič non ha mai veramente vissuto e questa greve consapevolezza lo coglie proprio nel punto di morte, la catarsi estrema di un uomo che della sua vita ha fatto un piacevole scherzo.