Quando si pensa al 9 maggio, passato da qualche giorno, almeno in Italia vengono in mente le immagini del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani a Roma. Chi se lo ricorda perché l’ha visto in tv, chi perché l’ha studiato sui libri a scuola o letto notizie da un’altra parte, ripensa a quel giorno con dolore e rammarico per qualcosa che forse si poteva fare e che non è stato fatto.
Molti di quel 9 maggio ricordano anche un altro fatto di cronaca, questa volta senza cadavere. O meglio, il cadavere c’era, ma spezzettato qui e là lungo la ferrovia di Cinisi. Il corpo di Peppino Impastato, 30 anni, viene recuperato a fatica, dilaniato da una bomba, posta sotto il suo corpo lungo i binari. Doveva sembrare un attentato preparato da Peppino, ma finito male. E invece no. A distanza di anni la verità la conosciamo. I cento passi che lo dividevano dalla casa di Tano Badalamenti l’hanno separato per sempre dalla vita.
La sua è stata davvero breve, ma intensissima. Avere trent’anni oggi era diverso che averli alla fine degli anni 70. Movimenti operai e studenteschi in lotta contro il potere e gli abusi, lotta proletaria e di classe. Peppino li ha vissuti tutti quegli anni. Poco dopo l’adolescenza partecipa all’attività di vari gruppi comunisti, si attiva per la lotta contro l’espropriazione delle terre dei contadini per costruire l’aeroporto di Palermo, fonda il giornale L’idea socialista. È in prima linea nelle attività culturali del suo paese, Cinisi, fonda Radio Aut, e il suo programma, Onda Pazza, fa il botto di ascolti.
Il botto, sì, come lui, che proprio forse a quel programma deve la sua fine prematura. Le prese in giro e gli sberleffi a mafiosi e politici non andarono giù. Peppino non aveva paura, o forse sì, ma faceva nomi e cognomi di coloro che spadroneggiavano con la violenza, gli omicidi e le sopraffazioni la Sicilia ed in particolare Cinisi. Anche Peppino veniva da una famiglia mafiosa. Per le sue idee venne cacciato di casa.
Quello che resta di Peppino è un ricordo forte e acceso di vita e di speranza. Di lotta e di non accettazione. Peppino vive ancora in chi ogni giorno dice NO agli abusi, all’arroganza del potere, alla violenza del più forte, alla passività dei rassegnati, alla noia dei comodi, all’inciviltà degli emancipati, all’incuria dell’opulenza, alla ripetitività dei petulanti. Peppino è ancora qui per chi dice Sì alla comunicazione sociale, al diritto di vivere nel proprio paese senza averne paura, alla cultura della terra e della gente comune, alla volontà di non rassegnarsi, alla bellezza.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. […] ci si abitua con pronta facilità […] ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Grazie Peppino.