Poeta, tragediografo e insegnante, Quinto Ennio è uno dei grandi nomi della letteratura latina. Pugliese (ebbene sì!), originario di Rudiae, che oggi identificheremmo grosso modo con Lecce: all’epoca questa regione era chiamata dai Romani Calabria, corrispondente non all’attuale nostra regione ma alla Puglia a sud di Taranto.
Ennio è stato poeta di tragedie, ma l’opera che gli avrebbe conferito fama imperitura a Roma sono gli Annales, poema epico di vastissime dimensioni a cui l’autore si dedicò con fatica nell’ultima parte della sua vita. Dulcis in fundo. Sono di fatto il più famoso testo epico romano fino all’età di Augusto.
Il titolo fa esplicito riferimento agli Annales Maximi, le pubbliche registrazioni di eventi condotte anno per anno. Anche l’opera di Ennio segue un ordine cronologico progressivo, ma non dobbiamo affatto pensare che l’autore trattasse tutti i periodi con lo stesso ritmo e la stessa cura. Due sono le caratteristiche salienti degli Annales enniani: il grande spazio dedicato agli avvenimenti bellici (si parla molto poco di politica) e la funzione celebrativa. Ennio ha sempre visto la sua poesia (tutta la sua poesia) come celebrazione di gesta eroiche, e così – nella parte più tarda della sua carriera – si avvicina ad un progetto che nasce come grandioso: una celebrazione di tutta la storia romana.
Omero, con cui Ennio vuole gareggiare, diventa da questo punto di vista non solo la principale fonte poetica, ma una vera e propria ossessione.
La narrazione storica viene articolata in libri, concepiti come unità narrative singole, ma messe insieme in un’architettura complessiva: quindici erano, probabilmente, quelli che Ennio aveva pianificato; ma – probabilmente per “aggiornare” la sua opera con la celebrazione di altre vittorie romane – ne aggiunse poi altri tre. Due, invece, i proemi (al libro I e al libro VII), in cui il poeta prende la parola e svela le sue ispirazioni.
Nel primo immagina addirittura di vedere in sogno l’ombra di Omero, il quale gli garantisce di essersi reincarnato proprio in lui: una mossa decisamente audace, attraverso cui il poeta romano si autoproclama sostituto ed alter ego del più grande poeta di tutti i tempi; nel proemio di mezzo, invece, Ennio concede più spazio alle divinità simboliche di tutta la sua poesia, le Muse (non più le antiche Camene), che con lui prendono di fatto piena cittadinanza a Roma.