Dice il Signore a chi batte
alle porte del suo Regno:
Fammi vedere le mani;
saprò io se ne sei degno.
L’operaio fa vedere
le sue mani dure di calli:
han toccato tutta la vita
terra, fuochi, metalli.
Sono vuote d’ogni ricchezza,
nere, stanche, pesanti.
Dice il Signore: Che bellezza!
Così son le mani dei Santi!
Renzo Pezzani
Lavoro è la parola d’ordine dei nostri giorni. La usiamo e ne abusiamo.
Questi pochi versi di Renzo Pezzani, un autore più noto per la letteratura infantile, ci aiutano a riflettere su questo tema di grandissima attualità e sulle problematiche ad esso connesse.
Inutile- non perché di poca importanza, ma per dare un tono diverso a questa pagina- soffermarsi sui disagi che proviamo nel nostro tempo per la mancanza di lavoro o la precarietà della sua durata.
Ciò che il nostro autore può contribuire a generare in noi è la considerazione su cosa rappresenti il lavoro per l’essere umano.
Pezzani parte dalla categoria di lavoratori da sempre più bistrattata, categoria che negli anni di attività del nostro autore incominciava le sue lotte al riconoscimento sociale. Tuttavia, il rilievo attribuito a quelle mani affaticate e callose, oggi può essere ampliato a più tipologie di impiegati. Le mani benedette dal Signore sono quelle che hanno lavorato, e lavorato duramente.
l lavoro è, infatti, la possibilità che l’individuo ha per affermare il proprio ruolo nella società, per misurare il suo valore, per offrire il suo apporto al Paese in cui vive. In questo senso, proprio la chiusa della poesia veicola tale messaggio.
C’è un bellissimo pensiero dello scrittore Joseph Conrad che sintetizza pienamente la preziosità del lavoro per la dignità dell’essere umano.
Il lavoro non mi piace, non piace a nessuno, ma a me piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovar se stessi.
Un uomo privato del proprio lavoro o un giovane interdetto alla possibilità di concretizzare le proprie aspirazioni, è un individuo a cui si vieta di esprimere compiutamente la propria identità. Non è azzardato unire le parole individuo e identità in una proporzione che ha per termine medio lavoro. Non solo non è paradossale farlo, ma, direi piuttosto, doveroso.