Altro che autore invisibile!
Agli scrittori piace parlare di scrittura. Di come scrivono, di quando non scrivono, di come le storie si intreccino nelle loro menti come fili colorati destinati ad ingarbugliarsi. Qui sta il loro talento: codificare in linguaggio tutto quell’esplodere di colori.
Percival Everett in “Percival Everett di Virgil Russell” edito da Nutrimenti, non fa altro che rendere palpabile la tensione al racconto che si annida all’interno di ogni scrittore. Quando si scrive ogni cosa può essere vera: ciò che non è rilevante lo diventa, le cose meno interessanti improvvisamente lo sono. Lo scarto tra verità e realtà condita si accorcia, una miriade di intrecci banali, sentiti, immediati divagano e si descrivono.
In un ospizio, padre e figlio: apparentemente il padre finge di essere il figlio scrittore con una voce che è al tempo stesso entrambi, o che in realtà non è nessuno dei due. Questo padre narratore (o lo scrittore che finge che il padre lo sia) rendere le cose complicate, in una fitta relazione di rimandi più o meno casuali e un gioco infinito di impersonificazioni. A dimostrare che possiamo controllare la nostra fantasia, ma poi ad un certo punto queste creature letterarie scappano dalle mani. E tra i personaggi fuggiaschi abbiamo uno scrittore che si riscopre padre, un dottore armato costantemente di macchina fotografica, un allevatore di cavalli deluso dalle sue vicende amorose e, ciliegina sulla torta, vengono scomodati anche Nat Turner e Martin Luther King.
Non è una storia lineare quella raccontata, è evidente che l’autore non vuole mai assecondare o aiutare il suo lettore nella comprensione del testo. Sono molti tentativi di storie, un taccuino di appunti in forma di romanzo orchestrato a ritmo dell’assurdo. Il romanzo di Everett è un canovaccio in elaborazione, un abbozzo di storia ancora potenzialmente declinabile in qualsiasi risultato.
Non voglio conoscere il cuore degli uomini. Non ho nessun desiderio di parlare dei reconditi tortuosi anfratti del cuore dove l’angoscia è un dilemma sempre ardente, e tantomeno di circoscriverli con gli strumenti dell’analisi. Ho l’intelligenza, il buonsenso, la decenza di non avere nulla da dire.