Un uomo torna a casa una sera, e trova sua moglie morta sul pavimento. Assassinata brutalmente, giace in una pozza di sangue. L’uomo è incredulo e scioccato, ancora non capisce fino a che punto la sua vita è cambiata. Chi ci racconta tutto ciò? Non l’uomo, non un narratore in terza persona, bensì il gatto della coppia. E sarà così per tutto il romanzo: ogni capitolo svela il punto di vista di diversi animali, ognuno dei quali ci dona un frammento della vicenda del protagonista, che si muove tra Canada e Stati Uniti alla ricerca dell’assassino di sua moglie. Non lo fa per vendicarsi, per ucciderlo: vuole vederlo in faccia per dare un senso alla morte di sua moglie, per dare un volto a ciò che ha distrutto la sua vita, ma soprattutto per essere sicuro di non essere stato lui. Sì, perché ormai la sua mente, la sua anima, è talmente menomata, deturpata, che i contorni della realtà sfumano. Niente ha più senso, se non il fatto che ciò che dava un senso alla sua esistenza ora non esiste più. Non vive più.
Anima di Wajdi Mouawad (Fazi, 2015) mi ha dato quella sensazione di stupore e angoscia di quando ti rendi conto per la prima volta di essere una creatura mortale; mi ha provocato dei momenti di terrore e euforia, come se fossi ancora una bambina che improvvisamente acquista la coscienza di esistere. Non sto esagerando, questo è un romanzo che mette in discussione ogni cosa. Tutto, tutto ciò su cui si basa la nostra civiltà, la nostra cultura viene capovolto, rivoltato, sconsacrato, distrutto.
L’autore riesce a compiere una tale maestosa operazione scrivendo un intero romanzo affidandosi al punto di vista degli animali, dei quali rivela di volta in volta caratteri e attitudini differenti. C’è il gatto, diffidente rispetto all’umano, ma comunque in cerca di attenzioni. Il cane invece mostra un’inderogabile fedeltà nei confronti del suo padrone, che niente e nessuno può scalfire. Il boa appare come una creatura quasi diabolica, che descrive con una lascivia grottesca i suoi lenti pasti. La quantità degli animali scelti ci permette di osservare la vicenda da punti di vista diversissimi: si passa dal corvo, alla farfalla, alla mosca, alla zanzara, al ragno, alla gru, alla scimmia.
Proprio quest’ultima si rivela uno degli animali più interessanti. Considera se stessa un essere sottovalutato dagli umani, rimpiange i giorni in cui si muoveva tra gli alberi nelle foreste, ma nello stesso tempo assume comportamenti umani: va matta per la cola light, e addirittura fuma. È una creatura capace di porsi domande tanto profonde e difficili quanto quelle che qualsiasi essere umano pone a se stesso almeno una volta nella vita. Quello che proprio non capisce, però, è come mai gli umani rendano tutto così difficile. Secondo la scimmia, infatti, essi sono la causa della loro stessa infelicità.
Allo stesso modo, illuminante il capitolo dedicato a un asino. Il protagonista si trova in una stalla; ha una gamba ferita, e aspetta di guarire per riprendere le sue ricerche. Ad un certo punto si avvicina all’asino e si rende conto, parlandogli, che un asino non penserebbe mai a essere qualcosa di diverso da un asino. Non proverebbe mai il desiderio di essere qualcos’altro. Al contrario, l’uomo trascorre tutta la sua vita desiderando essere altro. Nella sua semplicità, questo pensiero è sconcertante.
L’espediente del dar voce agli animali funziona così bene grazie all’ambiguità della figura del protagonista. Egli, infatti, attira sempre in modo particolare l’attenzione di qualche non umano nei dintorni, il quale non manca mai di far notare come quell’uomo sia diverso da tutti gli altri. Tutti gli animali vedono in lui qualcosa che lo accomuna a loro, qualcosa di strano e incomprensibile che si aggira dietro uno sguardo tanto apatico quanto criptico.
Molti elementi contribuiscono a rendere questo romanzo un capolavoro, e non mi trattengo dal dire che, secondo me, lo è davvero. È un libro capace di scavarti dentro, capace di farti domande scomode e indesiderate. Domande che instaurano dubbi su tutto ciò che hai sempre creduto eterno e inattaccabile. Non è facile far crollare i pilastri su cui si regge la nostra società, la nostra cultura. Questo libro ci prova: perlomeno, li fa tremare.