Durante una recente intervista ad un incomprensibilmente imbarazzato Fabio Fazio, Jane Fonda ha dichiarato “il Femminismo è essenziale, perché Femminismo è Democrazia”. Sempre dalle parole di un’attrice Americana, in un’occasione del tutto differente, durante la premiazione degli Oscar è Patricia Arquette ad affermare coraggiosamente, “è ora di ottenere la parità di retribuzione una volta per tutte, e la parità di diritti per tutte le donne negli Stati Uniti”. C’è un filo intrinseco che lega queste due affermazioni, e una domanda che soggiace nascosta, in attesa di venire svelata.
Prima di tutto, non si può più negare il fatto che il Femminismo sia rinato. Un po’ per moda forse, un po’ per gioco, quasi inconsapevolmente, ma queste sono ragioni secondarie, perché il dato ineludibile è che non è più possibile arginare il movimento, per ora almeno. Se da una parte si riabilita il termine Femminismo, cercando di spogliarlo dai pesanti interventi che nel secolo scorso ne hanno fatto un tabù; dall’altra si agisce concretamente su temi che sono di interesse universale. Perché in Europa il Gender Pay Gap, che calcola il divario salariale tra uomini e donne, è al 16%, mentre in America si aggira intorno al 30%. In media le donne in Europa occupano il 60% dei laureati, ciò nonostante il 34,9% delle donne svolge lavori part-time, contro l’8,6% degli uomini. Tuttavia questi dati non sono considerati definitivi, poiché non considerano l’insieme dei fattori che li influenzano, come ad esempio differenze di grado di istruzione, esperienza lavorativa, ore di lavoro o tipo di attività svolta. Ecco allora perché Femminismo è democrazia, e perché questo non resti uno slogan è necessario agire concretamente sui problemi più urgenti, che colpiscono direttamente le cittadine.
Eppure, nonostante sia evidente il cammino, c’è una domanda che ancora non ci siamo poste. Scrive Doris Lessing, nella sua prefazione a il Taccuino d’Oro, “Molte donne ancora corrono come cagnolini a cui sia stato tirata una pietra quando un uomo dice loro: Sei poco femminile, sei aggressiva, mi stai castrando. È mia opinione che qualunque donna che sposi, o prenda seriamente in qualunque modo, un uomo che utilizza tali minacce, meriti qualunque conseguenza le comporti”. Solo un personaggio come Lessing poteva porre in maniera così diretta la questione, ma la verità è che nessuna battaglia può dirsi felicemente conclusa se non iniziamo a porci le domande giuste, se non usciamo fuori da questa Sindrome di Stoccolma che ci rende prigioniere senza bisogno di catene. Come si può realizzare l’emancipazione? Questa è la vera questione. Personalmente, non credo esistano risposte assolute, forse solo tanti frammenti, eppure basterebbe che ognuno aggiungesse un pezzo, per comporre il mosaico. Ci sono molte forme, e diversi modi per arrivare ad una definizione di donna come individuo non manipolato da una società che cerca di controllarne il destino. Elaine Showalter ad esempio, controversa femminista della “second wave”, definisce la cultura femminile come una subcultura. Vi è un’immensa tradizione letteraria femminile infatti, di cui spesso si fa fatica a parlare perché poco o per niente pubblicizzata, che per secoli si è mossa come un pipistrello nell’oscurità della notte, timorosa delle proprie parole.
Prendiamo in mano George Eliot, allora, o Maria Antonietta Macciocchi, Emily e Charlotte Brontë, Sylvia Plath, Germaine Greer, leggiamo Anna Karenina o I Monologhi della Vagina. Potrei fare una lista lunghissima, e avrei sicuramente dimenticato le più rivoluzionarie scrittrici che hanno usato le parole come un’arma, aprendo uno strettissimo varco attraverso cui loro e noi possiamo guardare il mondo. Leggere per conoscere, e conoscere per combattere, perché la verità è che siamo ancora disgraziatamente ignoranti, e lasciamo che una società basata su una diseguaglianza perenne, mantenga il suo dominio sulla nostra pelle. Finché non saremo coscienti del nostro passato, non potremmo conoscere il futuro, finché lasceremo che “50 sfumature” sia il nostro manifesto di ribellione, umiliarci sarà facile come rubare una caramella ad un bambino.
È un consiglio che può sembrare pomposo, saccente. Ma è l’unico modo che conosco e che posso consigliare. Non sapevo dare nome alle domande e ai dubbi che avevo dentro, poi un giorno ho sfogliato Un Matrimonio per bene, di Doris Lessing…
(l’immagine è opera di Brave and Jinan Younis, i quali hanno realizzato per la rivista Elle U.K. un diagramma con l’intento di dimostrare gli stereoptipi riguardo al Femminismo)