Quando un romanzo è molto lungo, si corrono dei rischi: che sia dispersivo e noioso, oppure che sia troppo denso, pretenzioso, mal equilibrato. L’ultimo romanzo di Joyce Carol Oates, Il maledetto (Mondadori 2015) non è niente di tutto questo.
È un libro di più di seicento pagine coerente dalla prima all’ultima, scritto con una precisione maniacale, pieno zeppo di nomi, dettagli e date senza mai essere didascalico. Il lavoro dell’autrice prima e durante la stesura di questo romanzo deve essere stato enorme. Esso, infatti, si presenta come il documento di uno storico (figlio di uno dei personaggi) che decide di raccontare una vicenda semi-leggendaria avvenuta nei primi anni del Novecento a Princeton.
Tutto ruota intorno ad una “Maledizione” che colpisce il paese partendo da una singola famiglia, una delle più antiche, potenti e importanti, gli Slade. Annabel Slade, diciannovenne, viene misteriosamente rapita (oppure è fuggita?) proprio il giorno del suo matrimonio, proprio dalla chiesa dove aveva appena pronunciato i voti nuziali! L’evento sconvolge Princeton, soprattutto perché molti racconteranno di aver sentito una voce, un sibilo, un sussurro diabolico che invocava la sventurata ragazza. Ancor prima, si era parlato del collasso dell’ex presidente Grover Cleveland, crollato a terra improvvisamente dopo aver tentato di raggiungere sul tetto l’apparizione della sua figlia morta Ruth. Un fantasma? O Mr Cleveland non era in sé?
Presentandosi come storico, il narratore fa numerosi interventi nel testo, giustificandosi, spiegando, adducendo varie ragioni per cui sta raccontando questa storia e per il modo in cui lo sta facendo. In questo modo, il racconto procede attraverso le sue parole, ma anche attraverso svariati documenti, la cui proprietà è attribuita ai personaggi: diari, lettere, resoconti, parti di libri, discorsi. Il passaggio da un tipo di narrazione all’altra è spesso segnalato attraverso la punteggiatura e il cambio del font, che rendono il libro graficamente creativo e accattivante.
Il dispiegarsi della storia avviene dunque sotto il segno di una non identificata presenza sovrannaturale, la cui natura rimane sempre nascosta e messa in dubbio. Non si riesce mai a capire se i personaggi sono veramente “sotto incantesimo” ad opera di un potere diabolico superiore, o se semplicemente sono tutti impazziti. Il dubbio scatenato nel lettore mantiene sempre un altissimo livello di suspense. Come se non bastasse, l’autrice inserisce nel racconto la trattazione di alcuni dei temi più importanti di inizio Novecento, quali i diritti dei neri e delle donne e la lotta dei socialisti. In quanto lettrice di sesso femminile (ma tutti dovrebbero inorridire, a mio parere), mi ha colpito particolarmente il modo in cui era trattata la donna dell’epoca: considerata come creatura principalmente materna, il suo compito era allevare figli e portare piacere al marito, essere aggraziata e femminile, disinteressarsi di qualsiasi problema sociale e politico. Il suffragio femminile era visto come qualcosa di innaturale, e si tenevano svariati discorsi (non di rado anche da parte di distinte signore!) per impedire che le donne arrivassero a poter votare.
Il maledetto è quindi un libro davvero intenso, scritto da un’autrice che possiede la rara abilità di condensare una miriade di fatti e dettagli senza mai interrompere il ritmo narrativo. Lo consiglio per la sua particolarità di essere un romanzo che offre la rappresentazione di un quadro storico e sociale molto interessante, condito da un’atmosfera surreale e magica.