La stazione è invisibile.
Il facchino col suo carretto, un giorno come gli altri.
Poi entro in campo io, lucidissimo, gli sportelli uno specchio a riflettere la banchina e i passeggeri che saliranno e scenderanno a La Ciutat.
La madre del signor Louis e del signor Auguste con la sua mantellina scozzese, i nipotini. Una bella signorina biancovestita.
Il fumo scontorna appena le immagini.
So che qualcuno ha sussultato al vedermi, forse ha gridato. Addirittura è scappato.
I miei ricordi in corsa sbiadiscono. Come se non avessi mai attraversato campi di lavanda pascoli villaggi.
Arriverò per sempre a La Ciutat. La signora Lumière sarà nonna per sempre, la mantellina scozzese anche d’estate. In bianco sempre, la signorina graziosa che sembra sfuggire la camera.
Sempre lucidi i miei sportelli, nel film che è riflesso di un riflesso.
Oggi sono solo un ammasso di ferraglia. Paralizzato. Immobile.
Eppure.
Non capisco cosa sia questo c-i-n-è-m-a, però.
Tra cent’anni e più, chiunque potrà vedere una macchina di ferro entrare alla stazione di La Ciutat.
Ovunque adesso io sia, quando mi vedrete sarò lì.