Il Novecento italiano è stato dipinto, interpretato e tramandato con gli occhi, prevalentemente, della letteratura: una letteratura sì nazionale, ma fortemente caratterizzata con tratti locali. Tra di essi, quelli della Sicilia hanno sempre avuto un peso rilevante: la prosa e la poesia di questa terra hanno conosciuto straordinari autori e cantori, che hanno impresso una vera cultura “antropologica” tra le pagine dei loro libri.
Vitaliano Brancati occupa una piccola casella di questo mosaico. Originario di Pachino, comune dell’estremo sud siciliano, Brancati ha ricavato dalla sua opera una lucida curiosità per la realtà contemporanea, per i suoi caratteri meschini, ipocriti, aggressivi, passionali: caratteri tipici di una terra piena di contraddizioni, nella quale ogni aspetto dell’esistenza è vissuto con passione e con eccesso. Nemico acerrimo di ogni finzione che si manifesti nella società, Vitaliano Brancati ha messo tanto di sè nella sua narrativa; ed uno dei risultati più celebri è stato Il bell’Antonio, pubblicato nel 1949.
Il romanzo racconta all’Italia la vicenda di Antonio Magnano, giovane siciliano dotato di rara bellezza. Nella Catania fascista degli anni ’30, Antonio si porta dietro la fama di impareggiabile seduttore: invidiato dagli uomini, amato dalle donne, sembra che nulla possa scalfire la reputazione del bel giovane. Ma il destino avverso è dietro l’angolo.
Antonio, convolato a nozze con Barbara (figlia di un ricco notaio della città), confessa dopo breve tempo quello che per l’epoca è considerata una vera e propria onta: l’impotenza. L’impossibilità, fisiologica e psicologica, di generare figli, insieme all’omosessualità è l’infamia più grande per la società fascista, che fa della potenza virile un vero e proprio culto. Il protagonista, da uomo ammirato, amato e stimato, diviene uno zimbello, deriso e sbeffeggiato: una parabola in discesa, su cui non viene tracciato un finale preciso.
È la denuncia del fascismo: denuncia, tanto sarcastica quanto amara e drammatica, di una società che nasconde dietro il culto dei dogmi del regime un vuoto e uno squallore senza pari.
Celebre la trasposizione cinematografica del romanzo di Vitaliano Brancati: è il 1960, quando il regista Mauro Bolognini porta sul grande schermo Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale. Il film riscuote grande successo ed entra di diritto nella storia del grande cinema italiano.