La porta della libreria fa un po’ di resistenza quando spingo per entrare, così un gentile signore all’interno del negozio mi dà una mano. Lo ringrazio con un sorriso.
Quanto profumano le pagine stampate. Socchiudo gli occhi per concentrarmi a respirare quell’odore, beata.
«Allora? Vuole spostarsi?».
Mi sono fermata proprio di fronte all’entrata, impedendo l’uscita a due anziane signore che ora mi guardano con malcelata ostilità.
«Oh, sì. Scusate. Stavo solo…».
«Pff!», sbuffano. «I giovani d’oggi…».
Stupide vecchie, penso. Mi ricorderò di voi se mai aveste bisogno di aiuto per attraversare la strada. Così vi lascio lì.
Mostro la lingua ai vetri che separano la strada dal negozio, certa che le due tizie se ne siano andate e non possano vedermi. Certo, loro no, ma il commesso mi ha lanciato una strana occhiata.
Meglio se me ne vado al piano di sopra.
Sezione libri universitari usati. Passeggio tra gli scaffali e spilucco qualche passaggio dai saggi che mi ispirano di più, ne carezzo pagine e copertine consunte come se fossero dei cuccioli di gatto. Mi piacciono i cuccioli di gatto, ma preferisco la carta: non serve che tu le pulisca la lettiera e non lascia peli in giro. Ridacchio al pensiero che un tascabile possa espletare i suoi bisogni nella sabbietta, ma una voce dietro di me mi fa sobbalzare.
«Le serve qualcosa?».
Eccola, la commessa scorbutica del piano di sopra. Mi guarda con aria stranita, deve avermi sentito soffocare una risata. Crederà che io sia pazza.
«Ecco… uhm… a dire la verità no, cioè… anzi, sì!». Tiro fuori dalla tasca un foglietto spiegazzato. «Sì, mi serve un libro».
«Sgrunf». Lo prendo come un “Sì, certo, la servo subito, mi accompagni di là che glielo cerco”.
Seguo la gentile libraia fino al computer.
«Come si intitola?».
«Dostoevskij. Poetica e stilistica, di Michail Bachtin».
Rimane un paio di attimi a fissarmi. Che c’è? Forse mi guarda così perché ho un bruscolino nell’occhio.
Mentre mi sfrego discretamente le palpebre alla ricerca del corpo estraneo, lei cerca il libro di cui ho bisogno. Sono alle sue spalle e posso osservare tutto quello che digita.
Dosto…
«Sgrunf». Elimina tutto dalla stringa di ricerca. Ci riprova.
Desto…
Cancella. Apre Google e, molto argutamente, scrive Dost e tutti i risultati per Fëdor Dostoevskij si materializzano magicamente sul monitor. Compiaciuta, tenta di selezionare il tanto complicato nome di cui ha bisogno dalla pagina di Wikipedia che ne parla, ma non ce la fa. Davvero, basterebbe tenere premuto il pulsante sinistro del mouse e trascinare il cursore, ma proprio non ce la fa.
«Non ce l’abbiamo», si rivolge a me.
Ah. “Non ce l’abbiamo”.
Non posso fare altro che salutarla cortesemente e uscire dal negozio.
Certo che se non sapeva come scriverlo, potevo dirglielo io.