«Tutti gli uomini per lo più s’ingannano in questo, che vanno cercando lontanissime cose per trarne utilità o diletto, quando hanno ogni cosa nel proprio paese. Ma il difetto non viene dal popolo, no; viene dagli scrittori, i quali correndo dietro a’ trovati nuovi e alle invenzioni strane e fantastiche, scrivono mille bagatelluzze, che a leggerle tutte non se ne cava un’oncia di utile all’umana vita»
Gasparo Gozzi nacque a Venezia il 4 dicembre 1713, figlio del conte Iacopo Antonio e di Angela Tiepolo; poiché il patrimonio della famiglia Gozzi all’inizio del Settecento si era ridotto considerevolmente, soltanto Gasparo, il primogenito, e Francesco, secondogenito, poterono studiare in collegi pubblici. Pertanto, dopo aver ricevuto una formazione umanistica nel collegio somasco di Murano, a Venezia il Gozzi si dedicò allo studio della matematica e della giurisprudenza, sebbene i suoi interessi fossero già chiaramente rivolti alla letteratura.
Tra i primi componimenti si segnalano alcune traduzioni dei grandi umoristi antichi e moderni, a cui si uniscono una serie di opuscoli poetici d’occasione (1731-35) curati in parte dalla poetessa Luisa Bergalli, che Gasparo sposò nel 1738. Trasferitosi nella villa di Visinale, tra il 1739 e il 1740 l’autore si dedicò alla composizione di versi berneschi e intrattenne un’intensa corrispondenza con alcuni amici veneziani.
Nel 1742 Gasparo ritornò a Venezia per dedicarsi al lavoro editoriale e a quello teatrale; l’anno successivo compose la Medea, una versione-adattamento in polimetri del testo di H.-B. de Requeleyne. Divenuto gestore del Teatro Sant’Angelo, nel 1747 il Gozzi volle dar vita ad un repertorio teatrale moderno escludendo l’uso delle maschere, ma fallendo nell’intento. Nello stesso anno partecipò con il fratello Carlo alla fondazione dell’Accademia dei Granelleschi, indirizzandone gli interessi verso il culto della purezza della lingua, proponendo come modelli Dante e Petrarca.
Nel 1752 scrisse la prima opera letteraria originale, Lettere serie, facete, capricciose, strane e quasi bestiali, esordendo come umorista e moralista. In seguito si dedicò al giornalismo letterario contrariamente al fratello Carlo, che rifiutò di destinare le proprie doti di letterato al servizio di un’attività di stampo essenzialmente commerciale. Pertanto, tra il 1760 e il 1762 Gasparo redasse i numeri della «Gazzetta veneta», ricca di fatti di cronaca, del «Mondo rurale» e dell’«Osservatore veneto», che trattava tematiche generali. Celebri sono i ritratti psicologici delineati secondo le regole del ritratto satirico-morale, ma applicate a personaggi moderni. Da ricordare sono anche i Sermoni poetici in endecasillabi sciolti (1745-1781): si tratta di aneddoti personali che raffigurano con un’ironia ricca di anticonformismo il costume contemporaneo.
Il Gozzi trascorse gli ultimi anni della vita gravato dai compiti annessi all’incarico di sovrintendente alle stampe, trascurando in tal modo l’attività letteraria. Morì a Padova, il 27 dicembre 1786.
Cifra caratteristica della produzione di Gasparo Gozzi è sicuramente l’impiego di un linguaggio raffinato e anticonformista; in esso l’impeto umoristico appare temperato dall’adesione ai modelli indiscussi della letteratura, tradizionalmente distaccata dalla realtà popolare e quotidiana.