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“Le figlie delle Amazzoni” di Maria Mezzatesta

Ambientato nel 2452, Le figlie delle Amazzoni di Maria Mezzatesta (Libromania, 2014) racconta la storia di Sewen, una giovane donna che intraprende un viaggio verso il pianeta Chirone sull’astronave Queen of the Stars, in veste di capitano al suo primo incarico. Prima una tempesta di sabbia, poi la sparizione di un cyborg sembrano minacciare la buona riuscita di questa prima missione. Ciò che turberà di più il capitano, tuttavia, sarà lo scoprire di una strana congregazione di donne, le quali sembrano rifarsi all’antico mito delle Amazzoni. Sempre più curiosa, Sewen decide di voler andare in fondo a quella storia.

Pur partendo da presupposti interessanti, il romanzo risulta un po’ debole. Ho apprezzato i rimandi alla mitologia classica e la volontà di creare un personaggio femminile forte e indipendente. Mi è piaciuta in particolare l’idea dei simulacri, esseri metà umani metà sintetici, creati riversando in una macchina tutto ciò che un cervello umano può contenere, anche i sentimenti. Essi permettono, nel momento in cui una persona sta per morire, di prolungare la propria esistenza, suscitando non pochi dibattiti sulla legittimità del prolungare artificialmente la vita e sul guadagno che le società addette a questa procedura ricavano. Apprezzabile anche l’accenno al problema ecologico, che risulta un po’ surreale, tuttavia, se si pensa che la vicenda è ambientata in un futuro in cui l’umanità si è salvata emigrando su nuovi pianeti, creando astronavi innovative, inventando chip che contengono la memoria umana, ma che non riesce a risolvere il problema delle estrazioni minerarie e dell’inquinamento che provocano (su questi temi il dibattito è attivo da anni, possibile che tra quattrocento anni non avremo soluzioni alternative?).

La lettura è abbastanza scorrevole, anche se non poche volte rallentata da descrizioni superflue e dialoghi mal costruiti. Ci sono anche spunti di un qualche interesse, piccoli accenni, che però vengono abbandonati. Insomma, è come se ci fossero tante spie luminose, che cercano uno spazio per svilupparsi, per assumere un significato, ma non lo trovano; a fianco ad esse, vari dettagli che, a parer mio, non trovano ragione d’essere, come il fatto che, durante una cena, Sewen apprezzi la carne, ma trovi insipidi i contorni. Forse mi attacco a minuzie, ma sono tutti aspetti che interrompono il ritmo.

A mio parere, il romanzo ricerca la suspense senza trovarla; alla base della vicenda c’è un mistero da svelare, ma privo di quella sensazione di imprevedibilità e avventura che dovrebbe essere fondamentale in un libro che ha come fulcro un segreto da svelare. Anche se in alcuni momenti saltano fuori idee con del potenziale, purtroppo sono lasciate in sospeso.