Nel mese di gennaio le giornate sono state zeppe di impegni, quindi mi sono sembrate brevi. Sono comunque riuscita a leggere più di un libro. Sono riuscita a leggere per intero un romanzo che ha venduto incredibili quantità di copie, il primo volume di Muchachas di Katherine Pancol (edito in Italia da Bompiani); dico che ci sono riuscita perché ho continuato per disciplina e forza di volontà, non perché catturata dalle vicende di Stella (quelle di Hortense e Josephine, le altre muchachas, sono, almeno in questo volume, secondarie). Misteri degli incontri (e dei non incontri) fra lettore e scrittore. E parlo di mistero perché non saprei dire con esattezza cosa non abbia funzionato. L’autrice sa certamente costruire trame ricche di colpi di scena. Forse, per il mio gusto, c’è proprio un eccesso di trama: troppi personaggi, troppi drammi oscuri, troppo forti le tinte, pochi i chiaroscuri.
Mi sono appassionata di più al romanzo di Rossella Milone, Poche parole, moltissime cose (Einaudi). Storia in cui tante storie si annodano e si affiancano, sovrapponendosi e intersecandosi. Storie di coppie: Bruna e Pietro, genitori di Nanà, in forte crisi. Ivan e Albertine, una coppia ancora in costruzione; Olga e Sergio (lei è la madre di Bruna, lui il padre di Ivan). Storie di fughe: quella ovattata di Pietro, che va via senza strepito, portando con sé le sue cose un po’ per volta; quella (sconvolgente per i familiari, soprattutto per gli attoniti figli e, in un modo diverso, per la piccola Nanà) di Olga e Sergio, due anziani che sono diventati coppia in quelli che io chiamo gli anni d’argento; quella di Nanà, bimba curiosa, intelligente, bruttina, poco amata (ma forse non poco, solo male) da sua madre, donna spigolosa e amareggiata, molto da suo padre e da nonna Olga. La fuga di Nadia dal suo paese e da un destino già prestabilito, verso un sogno pagato con lo sradicamento e i rimorsi, fino allo smarrimento in un buio che nulla riesce a squarciare. Storie del perdersi (del perdere di vista se stessi) e del ritrovarsi. Dove a volte la perdizione è nella fuga e a volte, invece, è nell’allontanarsi che ci si ritrova. Storie scritte con mano leggera, con misura e linguaggio poetico.
Ho ultimato anche la lettura di uno dei romanzi di Mariolina Venezia che hanno per protagonista Immacolata Tataranni, sostituto procuratore, moglie e madre dalla vita relazionale asfittica, soprattutto politicamente scorretta, come da qualche tempo a quesa parte devono essere gli investigatori, a quanto pare; ma a tal proposito devo dire che la poesia dei pensieri e delle parole di Pepe Carvalho e la sapiente mescolanza, nelle pagine di Montalbán, di indagini e vita privata, che non è semplice alternanza dei due piani, sono ineguagliabili. Una lettura gradevole, Maltempo (Einaudi), anche se della Venezia preferisco l’altro registro, quello, per intenderci, di Mille anni che sto qui. E non per pregiudizio verso il genere (non soffro di preclusioni, ho letto capolavori di ogni genere letterario, fantascienza, noir, poliziesco), ma perché non ho trovato travolgente l’indagine che è al centro di Maltempo, nonostante le tematiche interessanti che l’autrice tocca. Una ragazza viene uccisa; scavando nella sua vita e nelle sue frequentazioni Immacolata Tataranni si imbatte in una serie nutrita di piste percorribili: il malaffare, le passioni male indirizzate, le ambizioni smodate alle quali si è disposti a sacrificare davvero tutto. Ognuna di queste chiavi interpretative della vicenda sembra plausibile, ma il fiuto investigativo della Tataranni saprà individuare, nel labirinto delle ipotesi, il percorso giusto. Una lettura piacevole, rilassante, in cui mi sono addentrata con la speranza di imbattermi in uno di quei guizzi che a volte un libro ha in serbo, di quelli che ne svelano d’un tratto qualità nascoste. Accade (può accadere) anche con le persone. Un vero guizzo non c’è stato, però mi sono piaciuti molto alcuni passaggi sullo smarrimento di chi, giovane e senza possibilità di realizzare anche uno solo dei suoi sogni, contempla con sguardo disilluso la sua Basilicata devastata dalla ricerca petrolifera senza avere ottenuto in cambio alcun tipo di riscatto.
Ancora in corso la lettura di Casa, di Marilynne Robinson, edito in Italia da Einaudi. Un libro intenso, con tre personaggi principali, il reverendo Robert Boughton e due dei suoi sette figli, la trentottenne Glory e Jack, il figliol prodigo, che fanno pressoché contemporaneamente ritorno a casa (a quella casa che è anch’essa protagonista del romanzo), sospinti dai propri fallimenti. Il percorso dalla provincia alle metropoli e viceversa è un tema sempre caro agli autori americani: cito una delle letture giovanili che ho più amato, The town and the city, di Jack Kerouac (1950). La storia dell’autrice, la sessantottenne Marilynne Robinson, che ha scritto tre romanzi in diciotto anni senza concedersi alle mode del momento, è affascinante e consolante. I buoni libri, insomma, riescono a farsi leggere sempre, non è necessario che chi li scrive sia un animale mediatico sempre sulla breccia.
E infine ho letto La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone (Longanesi), fresco di stampa e già molto ben piazzato nelle classifiche dei libri più venduti. Anche in Italia si cominciano a scrivere (ma dovrei dire: a pubblicare) storie di gente che la maggior parte della vita ce l’ha dietro le spalle. Era inevitabile. Il mercato editoriale italiano (all’estero mi pare che il tabù della vecchiaia in letteratura non sia mai esistito) deve essersi accorto di due cose: che la popolazione del Paese è molto invecchiata e che gli anziani leggono più dei giovani. Il romanzo di Marone ha per protagonista un settantasettenne dai molti difetti, con rapporti spesso conflittuali con il prossimo, a partire dai figli. Ma, nonostante il caratteraccio e un fondo di cinismo, Cesare Annunziata è anche capace di slanci generosi e soprattutto non è chiuso al cambiamento, il che è fondamentale per non irrigidirsi in un anticipato rigor mortis. Naturalmente la lettura è godibile a qualunque età, altrimenti Il vecchio e il mare, solo per fare il primo esempio che mi viene in mente, non avrebbe speranze (e sarebbe un vero peccato). Consolante anche questa scoperta del pianeta terza età: magari non si leggerà più, nelle schede valutative dei manoscritti, la notazione che un libro i cui protagonisti sono anziani può essere letto al più da anziani (quindi non è “commerciabile”), con l’ulteriore precisazione che anche questa fascia di pubblico non vuole sentirsi raccontare vicende che già conosce bene nel suo desolato quotidiano; insomma, par di capire, chi ha superato i settanta vorrebbe leggere, secondo l’estensore della scheda, avventure mirabolanti e adrenaliniche di suoi improbabili coetanei (ah, sappiatelo: la mia “traduzione” della notazione di cui parlo è scritta molto meglio dell’originale).
Rosalia Messina