Anno 405 a. C.: alle Lenee di Atene (le feste greche in onore del dio Dioniso), sotto il nome di Filonide, Aristofane mette in scena le Rane. Il pezzo teatrale comico riscuote da subito un clamoroso successo: ottiene il primo posto e viene più volte replicato negli anni successivi, sempre con grande clamore di pubblico.
Considerato uno dei massimi capolavori della letteratura teatrale di tutti i tempi, le Rane è una commedia complessa, dai profondi significati storici e artistici. Il titolo fa riferimento al coro di rane, il cui gracidio scandisce l’avanzare della barca di Caronte sulla palude infernale dello Stige: una trovata, questa, a suo tempo geniale, estremamente moderna (solo molti secoli dopo gli scrittori avrebbero titolato le loro opere con episodi apparentemente marginali e occasionali, ma spesso ricchi di significato: in questo caso, le rane simboleggiano la poesia).
Dioniso scende agli Inferi per riportare in vita Euripide, morto di recente senza lasciare successori degni del suo nome. Ma è nella seconda parte della commedia che gli eventi prendono la piega della svolta: con l’appoggio di una massa di facinorosi, Euripide ruba ad Eschilo lo “scettro” di re dell’arte tragica. Plutone, re degli Inferi, decide di dirimere la contesa con una gara tra i due grandi poeti, eleggendo Dioniso ad arbitro e giudice. Quest’ultimo, però, è tutt’altro che imparziale e propende nettamente per Euripide. L’agone viene condotto con una serie di battute davvero sorprendenti: principalmente, Euripide rinfaccia ad Eschilo la staticità dei drammi e l’oscurità del linguaggio; Eschilo, dal canto suo, accusa l’avversario di immoralità e vuoto virtuosismo verbale. Addirittura viene usata la bilancia per misurare e pesare i versi dei due grandi poeti, i quali esibiscono i loro pezzi migliori, salvo poi essere sbeffeggiati sul più bello. È una disputa, quella messa in scena da Aristofane, che si trasforma di fatto in una parodia letteraria riuscitissima; originale, colta, leggera e avvincente.
Dioniso decide infine di decretare la palma della vittoria a chi dei due saprà dare il miglior consiglio ad Atene, in uno dei momenti storicamente più difficili e tragici per la capitale greca: ne esce vincitore Eschilo (il suo consiglio è di considerare il territorio dei nemici come se fosse il proprio, e quello proprio come se fosse dei nemici; come una risorsa la flotta, e come un danno le attuali risorse).
Dal punto di vista prettamente artistico, l’escamotage letterario di Aristofane gli consente di compiere una critica demolitrice dell’opera di Euripide, e di eleggere Eschilo a rappresentante di una cultura passata in cui sono espressi i valori più autentici e genuini del tempo antico; quei valori di cui tanto avrebbe avuto bisogno l’Atene di Aristofane, prostrata da guerre civili e da conflitti esterni (la resa a Sparta sarebbe stata imminente).
Permeata, dunque, di motivi storici scottanti, le Rane si presenta -però – al grande pubblico soprattutto come un momento di straordinaria di letteratura, in cui l’autore può mettere in scena quel rapporto così ambiguo con Euripide che sempre l’ha caratterizzato: a tratti amato e stimato, ma il più delle volte considerato colpevole della degradazione dei costumi e dell’abbandono dei valori etici e politici a cui Aristofane guardava da tempo con nostalgia. Il tutto condito, sapientemente, da ironia e leggiadrìa.