«La trasformazione del materiale di una vita in una barzelletta»
Una sentenza privata a domicilio, una proiezione della personalità, il segreto dell’unicità. Ecco cosa vuole il cabarettista Dova’le dal giudice Avishai Lazar. Amici d’infanzia, il comico lo ha osservato da lontano per quarant’anni seguendo la sua carriera di penalista geniale e aggressivo, districandosi tra le sue sentenze come fossero storie ben argomentate. Ed eccoli qui, il primo su un palco di provincia a dare spettacolo, il secondo pronto a giudicarlo. Così sembra iniziare Applausi a scena vuota di David Grossman.
Dova’ le era un bambino che camminava sulle mani. Prima per gioco, poi con ingenua serietà, per proteggere se stesso da gli altri e la madre dagli sguardi altrui. Di fronte al pubblico cambia ancora faccia, ripone fiducia negli sguardi di scherno di fronte a lui e si lascia andare, raccontando tutto della sua vita. Un bambino che crede di morire se cammina dritto e che da quella prospettiva non sa affrontare il mondo. La vita lo mette alla prova fin dalla sua infanzia, ma è a 13 anni che gli scaglia il colpo più difficile da incassare: durante un campeggio gli viene comunicato che uno dei suoi genitori è morto, ma non sa quale. Il viaggio verso il suo primo funerale gli apre gli occhi sui suoi sentimenti, le sue pulsioni e le sue speranze, e all’età di 57 anni, sull’orlo di una grave malattia, si sente pronto a raccontare quell’esperienza straziante.
Gli spettatori di Netanya appaiono soddisfatti di fronte alle battute dissacranti e le invettive senza filtri del comico, che si prende apertamente gioco di loro umiliando se stesso. L’uomo sul palcoscenico è solo un’ombra lontana del compagno d’infanzia di Avishai, soffocato da una messinscena deprimente. Gli spettatori, prede di Dova’le, si fanno insultare senza battere ciglio, lasciando minuscoli spazi a compassione e correttezza, che solo l’amico di un tempo è in grado di riconoscere. L’operazione del comico è quella di portare il pubblico dalla propria parte, dimostrandogli che le sue debolezze e il suo lato più meschino è in fondo condiviso da ogni persona presente in sala. Non accetta giustificazioni: Dova’le vuole essere la proiezione del male del mondo. Ma lentamente si denuda completamente delle sue maschere, delle sue risate preconfezionate e lascia la carcassa di se stesso ai presenti. Non è l’unico a rivelarsi, anche il giudice-sicario davanti a lui si spoglierà intimamente portando a galla sofferenze e colpe che credeva di aver dimenticato.
E com’è successo che lui, nelle sue condizioni, abbia fatto per me quello che non hanno fatto tutti i libri e i film che ho letto e visto? Tutte le parole e i gesti di conforto di amici e parenti in questi ultimi tre anni?
La storia si cuce mano a mano e come altre volte, Grossman sa farcela gustare passo dopo passo. Come ne La grammatica interiore è ancora lo sguardo di un bambino ad essere raccontato, filtrato dall’esperienza degli adulti; come in Che tu sia per me il coltello, due persone si mettono a nudo vicendevolmente. L’autore inizia questo libro con delle barzellette, ma immediatamente non convince: c’è dell’altro. Dietro l’uso dell’umorismo nero c’è ancora dolore profondo, sofferenza e ingenua speranza.