Cercare Virginia Woolf sul web oggi, è come fare un tuffo in una vasca di locuste. È un’esperienza che consiglio come terapia di autostima. Se la sera tornate a casa stanchi, logorati dall’idea di essere dei totali incapaci nel vostro lavoro; se i vostri figli non vi ascoltano, e vi sentite dei pessimi genitori; se guardandovi allo specchio scoprite di non essere capaci di seguire una dieta…fatevi un giro nel web, digitate Virginia Woolf, e scoprirete che il mondo ha pesi peggiori da portare sulle spalle.
Ciò che mi lascia più perplessa, in questo folle circo dell’era tecnologica, non è solo la foto da donna affranta ed emaciata che è diventata ormai sfortunatamente iconica; ma la sequela indecente di frasi estratte casualmente e senza nessun ritegno dai suoi libri, per comparire su Tumblr o su profili di giovani ragazze che non ne conoscono nemmeno la provenienza. Virginia Woolf è diventata un business, come la foto del Che, o John Lennon piazzato come Vanna Marchi nella pubblicità della Citroën. A breve prevedo che una compagnia di viaggi userà come spot “Life, London, this moment of June”.
Già nel 2003, in un articolo uscito sul The Guardian, Doris Lessing fece notare come ormai al giorno d’oggi l’immagine di Woolf sia stata adattata alle esigenze del tempo, un po’ perché il tempo attenua i ricordi, un po’ per convenienza. Perché Virginia Woolf era una ribelle, e le sue parole facevano tremare certi scheletri, non come la fredda, austera e passiva Nicole Kidman che la interpreta in “The Hours”, quella dimenticatela. Pensate a una ragazza cresciuta in una famiglia tremendamente borghese, con una madre che firma la petizione contro il suffragio femminile, e un padre che, ritrovatosi vedovo, costringe le figlie ad occuparsi di lui. Un padre, tra le altre cose, autore e critico letterario, parte di una società inglese snob e insopportabilmente patriarcale. Questa ragazza, chiusa nella sua stanza, comincia a scrivere recensioni per il Times Literary Supplement. Il suo intento è quello di sorprendere. Deve sorprendere, perché nessuno ascolterebbe una donna, nessuno riuscirebbe a valutare seriamente l’opera di una donna, a meno che non sia capace di sorprendere in maniera stupefacente quegli anziani, testardi, letterati. Con la sorella Vanessa prende parte al Bloomsbury club, in cui si riuniscono menti giovani e desiderose di sfidare a viso aperto le vecchie generazioni. Persino nel linguaggio che usano tra di loro è sempre una lotta a chi è più brillante, più provocatorio. Ovviamente erano degli snob…rivoluzionari, creativi certo, precursori dell’età del sesso libero, ma snob come lo era gran parte della middle-class nell’età Vittoriana.
Certo, non voglio insinuare che la vita di Virginia fosse un susseguirsi di divertimenti senza pensieri. La madre morì prematuramente, la violenza sessuale del fratello su Virginia e Vanessa la segnò indelebilmente, morì la sorellastra Stella. Il lutto la colpì diverse volte, i traumi peggiori li ebbe con il fratello Toby e il nipote, figlio di Vanessa, morto in guerra. E poi la depressione, di cui spesso si parla.
Ma Virginia non era la sua malattia, era una scrittrice, una scrittrice geniale. Difficilmente si può trovare nella storia letteraria una figura tanto rivoluzionaria. Virginia non aveva paura, non era un eremita che sfuggiva la compagnia umana. Era una che amava le battaglie, specie quelle letterarie. All’alba del fascismo ha scritto alcune tra le frasi più taglienti di un’arma contro la società patriarcale, incarnata in quel momento da Mussolini. Per prima ha avuto il coraggio di dire che una donna deve essere pagata per il suo lavoro e ha diritto di non vergognarsene, e l’ha fatto ben prima di Emma Watson, prima persino che la legge allargasse il voto alle donne in Inghilterra. Ha ribaltato lo stile letterario, la concezione stessa della struttura del romanzo, riportando l’idea di tutto all’insieme di mille frammenti che lo compongono. Geniale, dico ancora!
Oggi di lei ricordiamo solo una foto sofferente e una versione ridicolmente semplificata di Clarissa Dalloway. Perché Clarissa non era solo una moglie borghese, era una donna fragile che viveva imitando le copertine delle riviste patinate, e disperatamente cercava di imbrogliare la morte e la cruda realtà dell’esistenza, rispettando le regole di un party perfetto, celebrando la vita che imita la vita.
Oggi di “Le Onde”, “Orlando” o “Tra un atto e l’altro”, non si parla quasi mai, e saggi come “Tre Ghinee”, forse non sono mai esistiti. Abbiamo appiattito la scrittura, e l’idea di rivoluzione che porta dentro la vera scrittura. Perché abbiamo trasformato un’autrice così geniale in un business da quattro soldi? Chi ha paura di Virginia Woolf?