È giusto interrogarsi sulla prospettiva letteraria femminile? O, al contrario, è solo il retaggio di un pensiero femminista che non ha più utilità sociale?
Sarò sincera, non ho neanche finito di leggere “50 Sfumature di Grigio”. E le ragioni che mi hanno portato a decidere, coscientemente, di non continuare ad arricchire il business di E.L. James, preferendogli una rilettura di Anna Karenina, le spiegherò tra un istante. Prima, però, vorrei fare una breve premessa.
Negli ultimi anni c’è un desiderio sempre più forte, in varie parti del mondo, di riportare l’attenzione sul concetto di femminismo. Personalmente, quando i primi articoli sull’argomento hanno cominciato a comparire più frequentemente, ho esclamato: “Era ora!”. Non ho mai capito l’espressione di disgusto e terrore che compare sul volto di molti al solo accostarsi del suono “fem-mi-nis-mo”. Ho visto volti trasfigurarsi al pronunciarne solo le prime lettere: illustri letterati arricciano le labbra come avessero mangiato peperoni a colazione, e, fatto ancor più sorprendente, donne che ricoprono ruoli decisivi, al solo proferire di tu-sai-cosa, spalancano gli occhi incredule di aver udito una simile bestemmia. “Ma io vado dall’estetista”, è la risposta più comune. Chiariamo un altro punto, si può andare dall’estetista e nominare il femminismo, la polizia non vi irromperà in casa con un’ingiunzione. Ho sempre pensato che le parole acquisiscano il significato che una cultura decide di attribuirgli. Dunque, se battersi per i diritti delle donne viene associato a un’idea di rabbiosa scontentezza della propria vita, o irragionevole odio verso uomini e sesso, causato da una bruttezza esteriore, il problema è culturale, non linguistico.
La letteratura può giocare un ruolo fondamentale in questo senso, e allo stesso tempo divenire lo specchio delle nostre coscienze. Recentemente, alcune ragazze del corso di teatro al Mount Holyoke College, negli Stati Uniti, si sono rifiutate di rappresentare i “Monologhi della Vagina” per la tradizionale rappresentazione del giorno di San Valentino, accusando l’opera di Eve Ensler di non includere il punto di vista di transgender ed etnie diverse. Ecco, questo è il lato dispersivo e onestamente ridicolo di alcuni movimenti per i diritti, questo perdersi nel cercare di accaparrarsi il podio dell’attenzione pubblica, senza comprendere che non vi è esclusività, ma complementarietà, e “I Monologhi” sono purtroppo ancora attuali. Ad alcune tra quelle ragazze certe argomentazioni potrebbero sembrare obsolete. L’attenzione al solo ruolo femminile antica, sorpassata. Ma lasciar cadere queste lotte, e le fatiche perché dessero frutti, ha il rischio di far sembrare oggi il libro di E.L. James un traguardo raggiunto, l’emblema della nuova emancipazione.
Non è una vergogna leggere la serie di “50 Sfumature”, ma la mia opinione è che spesso si tenda a confondere una descrizione sessuale con l’idea di emancipazione femminile a prescindere, e che nella discussione generale troppo spesso alcuni testi abbiano contribuito a questa confusione. In questo libro, ad esempio, l’erotismo si basa sul rapporto dominatore/sottomessa, e una giovane, ingenua e dall’aria verginale, viene iniziata al sesso da un uomo, navigato e anaffettivo, richiamando a mio parere echi tutt’altro che rivoluzionari. L’indole da crocerossina della protagonista, decisa a dedicarsi al suo uomo per cambiarne i tratti, parrebbe una ripetizione di quella prospettiva androcentrica che credevo ormai morta dagli anni ’70. Esiste un dominatore e una dominata.
Ho deciso allora di riprendere in mano Anna Karenina. Anche qui la protagonista è vittima di una passione dominata dall’uomo, ma qualcosa di completamente differente viene trasmesso. Anna è simbolo femminista del fallimento sociale del patriarcato, e riesce ad esserlo perché nel raccontare il suo rapporto con Vrònskij, Tolstoj ne evidenzia la forte complessità e la rivoluzione sensuale e psicologica. L’obiettività disincantata e seducente delle sue descrizioni, fa si che Anna diventi soggetto, non oggetto. Anche quando realizza che la sua vita è ormai nelle mani dell’amante , “sentiva fisicamente la propria umiliazione”, resta un individuo complesso. È la società ad essere condannata, Anna cerca la completezza della sua femminilità, e accortasi che non c’è spazio in quel mondo per esprimerla a pieno, decide di liberarsi da ogni costrizione. “Mi libererò di tutti e due e di me stessa”, è il suo pensiero finale, in un ultimo, vendicativo, tentativo di fuggire dalla prigione in cui è stata chiusa.
E allora, è forse arrivato il momento di liberarsi definitivamente da certe catene. Oggi è possibile, se non si abbandona l’onda del femminismo, permettere ad Anna Karenina di risorgere da quelle ceneri, cancellando il ruolo di vittima, umiliata crocerossina sodomizzata, e imponendo quello di individuo capace di libero arbitrio.