«Se non credessi offender gli scrittori
che han rotto con lo scrivere ogni sbarra,
e son fatti del mondo inondatori,
io canterei di Marfisa bizzarra.
Ma appena m’udiranno, usciran fuori
con gli occhi tesi e con la scimitarra,
gridando che lo stil non è moderno,
e daran di gran colpi al mio quaderno»
Carlo Gozzi nacque a Venezia il 13 dicembre 1720, sesto figlio del Conte Jacopo Antonio Gozzi e di Angiola Tiepolo. I Gozzi, che tra il 1500 e il 1600 erano diventati ricchi proprietari terrieri, nel Settecento videro venir meno la loro fortuna; di questa situazione fece le spese Carlo, che dovette dedicarsi agli studi letterari da autodidatta. Abbandonata la carriera militare intrapresa tra il 1741 e il 1744, successivamente egli aderì all’Accademia dei Granelleschi, polemizzando contro le innovazioni diffuse nella letteratura veneziana dell’epoca, propugnando una difesa della classicità, citando come esempi i testi di Burchiello e Berni.
Con la pubblicazione del lunario La tartana degli influssi per l’anno bisestile (1756), Gozzi raggiunse la notorietà: l’opera è un evidente rifiuto del teatro di Goldoni, a cui venivano rimproverati la trascuratezza dello stile e l’eccessivo realismo. Un altro tratto contestato riguardava l’attribuzione di una moralità malvagia a personaggi patrizi, esaltando al contrario le virtù borghesi. La polemica antigoldoniana è presente anche nelle dieci Fiabe Teatrali, in cui vengono riprese le maschere e le situazioni della Commedia dell’Arte, unendo aspetti magici, realistici, comici e tragici. Scopo di Gozzi era dimostrare che il successo di Goldoni non era ascrivibile ai contenuti delle sue opere, ma alla maestria della rappresentazione. Il successo delle Fiabe, inscenate dalla compagnia di Antonio Sacchi, con cui Gozzi collaborò fino al 1783, sembrò dargli ragione.
Tema totalmente diverso si trova nella Marfisa bizzarra (1766), un’opera parodica in cui viene descritto un mondo nobiliare ormai decaduto; in essa è possibile ravvisare, come accade spesso nelle opere del Gozzi, un intento polemico, in particolare contro la corruzione morale ormai dilagante nella Venezia dell’epoca. D’altro genere ancora sono le Memorie inutili, pubblicate tra il 1797 e il 1798: si tratta di un’autobiografia in cui il drammaturgo si dipinge come un letterato costretto a dedicarsi negli ultimi anni della vita alle attività commerciali. Solo in questo modo, infatti, Gozzi riuscì ad ottenere quell’indipendenza economica che, tenendolo lontano dal “mercato delle lettere”, gli permise di conservare la sua attività creativa. L’autore morì a Venezia, il 4 aprile 1806.