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A una voce sconosciuta

 

Avvolta nel soprabito di velluto, con il manicotto di visone tra le mani sottili e bianche come fine porcellana, Gabriele si metteva in posa facendo in modo che l’anello che portava al dito si notasse bene. Non lo avrebbe più tolto e voleva che fosse chiaro a tutti quelli che avrebbero visto quella fotografia.

Il cappello di pelo bianco come la neve sopra gli occhi celesti, quasi trasparenti, sul viso triste o appena imbronciato sempre come sul punto di piangere, cercava un conforto dal contatto appena percepibile del braccio di Vasilij che, alla sua destra, nonostante tutto, riusciva a mostrare un viso sereno e perfino l’accenno di un sorriso certo un po’ forzato per chi lo conosceva bene come lei ma, tuttavia, credibile.

Teneva le mani volutamente nascoste nelle tasche del cappotto.

«Un pittore che non mostra le sue mani è come un violinista che tiene nascosto l’archetto», pensò Gabriele ma poi si disse che assecondare quel lieve contatto da parte di Vasilij sarebbe stata l’ennesima illusione per lei, come tutte le volte che le aveva promesso di sposarla, salvo poi gridarle in faccia il suo destino di solitario.

In Svizzera si erano detti addio. Vasilij era andato a Mosca e lei, fatto ritorno a Murnau, non aveva fatto altro che guardare tutte le fotografie che gli aveva fatto. La sua preferita, però, era quella scattata da un amico mentre erano in bicicletta. Vasilij sorrideva come mai lo aveva visto sorridere e lei, sotto il cappello floreale e civettuolo, non riusciva a trattenere la felicità per aver conosciuto un uomo così straordinario. Era la sua allieva e di lì a poco sarebbe diventata la sua compagna.

Quei giorni erano ormai lontani e lì, a Stoccolma, faceva troppo freddo non solo perché era inverno ma perché era l’ultima volta che avrebbero esposto i loro dipinti assieme. L’ultima volta che si sarebbero visti.

Vasilij, pur mascherando bene le sensazioni che provava in quel momento – a vederla in seguito quella fotografia a lui non sarebbe parsa molto triste – dopo tutto il tempo passato in Germania, a Mosca si sentiva stranamente fuori luogo e indesiderato, proprio come diceva il timbro apposto sul suo passaporto.

Tornava a provare quel profondo desiderio d’isolamento che aveva spezzato più volte il cuore di Gabriele e si teneva lontano dai pennelli e dai colori come ci si tiene lontani da ciò che turba e getta nello sconforto. Affacciato alla finestra della sua casa, pensava a quella felicità che era diventata improvvisamente ingestibile, al male che aveva fatto a Gabriele essendo semplicemente ciò che era, ciò che non poteva fare a meno di essere e, soprattutto, voleva essere.

Mentre il sole tramontava, posando gli occhi sulla città più prodiga di suoni e colori che esistesse al mondo, che non avrebbe mai smesso d’incantare con la sua bellezza di fiaba, Vasilij non trovava un giallo squillante che lo convincesse a restare ancorato a questo mondo né un azzurro celestiale che lo spingesse ad attraversare l’infinito, proprio come il suo cavaliere, che era la sua bandiera il suo simbolo il suo non sempre sicuro appiglio. Forse, si diceva, non era forte e coraggioso come lui se non era in grado di combattere contro i draghi che s’affacciavano nella sua testa, se un nero puro, muto e atonico, governava le sue giornate e prendeva il sopravvento, incupendo perfino i suoi occhi azzurri e cristallini che mai prima di allora s’erano stancati di guardare. E poiché di dipingere proprio non se la sentiva, chiuse fuori la musica dei colori e scelse d’abbandonarsi ad un silenzio senza confini finché una voce sconosciuta non venne a tirarlo fuori da quel mondo che non gli apparteneva, disarmandolo.

……

« Mi dicono che siete la figlia del generale Andreewskij. Come vi chiamate signorina? »

« Mi chiamo Nina. »

« Piacere di conoscervi, Nina. Io sono Vasilij. »

« Lo so. » rise lei. « È un piacere conoscervi Maestro Kandinskij. Perdonate se ho insistito tanto per parlarvi ma sono una vostra grande ammiratrice.»

Queste e poche altre parole si scambiarono quei perfetti sconosciuti ma mentre Gabriele non dipingeva perché non c’era più lo sguardo curioso del Maestro a posarsi sulle sue pennellate, e s’attaccava morbosamente alle tele che erano l’unica cosa rimasta del suo amore perduto, Vasilij quella sera si ritrovò inaspettatamente con gli occhi su un piccolo foglio, ad intingere il pennello nell’acqua, intento a tracciare filamenti di colore trasparente, delicati e leggeri come la voce di quella donna.

Il nero di china, poi, avrebbe disegnato tutti i ritmi che la sua voce aveva percorso durante quella insolita telefonata. Vi si sarebbero trovate immagini forse d’uccelli, di cinguettii o solo d’ali spiegate, echi dei fraseggi di dame e fate delle fiabe. Un tripudio d’impressioni e sensazioni musicali, tutte quelle che quella voce, giovane e gioiosa, aveva suscitato in lui nei pochi fuggevoli momenti in cui si erano parlati.

«L’ho trovata. L’ho trovata! È Nina. » si disse mentre apponeva la sigla e la data in fondo al piccolo acquerello. Gliene avrebbe fatto dono alla prima occasione, certo che sarebbe stato più che gradito. A una voce sconosciuta stava ridonando la parte più autentica di se stesso. Era un azzardo, probabilmente, ma il desiderio di tornare a dipingere si fece irrefrenabile quasi quanto il desiderio di quel volto che ancora non conosceva ma che già gli sembrava il più bello che avesse mai visto.

……

E non lo avrebbe potuto fissare meglio quel volto, nella sua testa, nemmeno se avesse avuto un apparecchio fotografico a disposizione, la prima volta che la incontrò.

Nina attraversava l’ampio salotto e gli si avvicinò leggera, quasi volando. Lui le andò incontro, trattenendo a stento quei passi che volevano andare, a scavalcare il cielo, ad inseguire il cuore che già s’innalzava in un vortice d’attesa e di desiderio.

La ragazza aveva lunghi capelli castani sottili e leggeri, raccolti dietro la nuca. Gli occhi, sotto le sopracciglia ben disegnate e arcuate come in una leggera espressione di sorpresa, erano grandi e splendenti, di un colore caldo e limpido, come quello del tè, schiarito appena da una goccia di limone. Ed erano vivaci come quelli di una bambina che sta scoprendo il mondo. Il naso, ben proporzionato e leggermente all’insù, dava al viso un’immagine di bellezza fiera e delicata insieme e la bocca, come un piccolo bocciolo, con due deliziose pieghe agli angoli, assomigliava a quella di un puttino.

«La tua voce mi ha colpito molto.» disse Vasilij prendendole le mani. Non si accorse nemmeno di essersi rivolto a lei dandole del tu. Venne spontaneo e naturale proprio a lui che era stato giudicato spesso, ma ancor più di recente da Gabriele, freddo e distaccato.

«Vieni a scaldarti.» le disse portandola vicino al grande caminetto.

Quell’autunno aveva avvolto Mosca da un freddo già invernale e, nonostante di tanto in tanto il sole s’affacciasse sulla città, non era uno di quei soli che scaldano. Non come le mani di Vasilij che tenevano quelle di Nina alla quale non sembrava vero un contatto così diretto con il Maestro, con quegli strumenti da cui fluivano le forme e i colori su cui s’era incantata per giorni, col cuore colmo d’entusiasmo e d’ammirazione.

Nina, leggermente imbarazzata ma felice come non mai, non smetteva di guardare Vasilij sprofondando in quegli occhi azzurri che nella sua testa definì subito belli e buoni. Non si era mai recata da sola a casa di un uomo e nonostante di uomini, e pure importanti ne avesse conosciuti, e tutti si fossero rivolti a lei sempre con grande rispetto educazione gentilezza e perfino devozione, era consapevole che dietro tutto ciò si celava il desiderio di poterla in qualche modo conquistare e avvicinarsi così al potere di suo padre. In quel preciso momento, davanti al caminetto, mentre il Maestro le serviva la cioccolata calda, Nina era conscia che l’interesse di Vasilij era esclusivamente per lei, per la sua persona in quanto tale, per quella bellezza del cuore che traspariva oltre il bel volto la postura aggraziata il corpo morbido e flessuoso.

«Posso vedere i vostri lavori, Maestro? » gli chiese Nina d’improvviso e appena timida.

«Ti prego, chiamami Vasilij. » le disse lui sorridendo. Il suo sorriso era come una pennellata di gioia su un volto che, dietro quegli occhiali che ad alcuni potevano sembrare seriosi e mettere in soggezione, a lei sembrava sereno e quanto mai rassicurante.

«Te ne mostrerò con piacere qualcuno anche se, lo confesso, non ho lavorato molto da quando sono tornato a Mosca. »  disse mentre si alzava dalla poltrona, riponeva le tazze sul tavolino e l’invitava a seguirlo, sempre tenendole le mani il cui contatto cercava e desiderava ardentemente.

Quando arrivarono nella stanza che il Maestro utilizzava come studio, la leggera espressione di sorpresa delle sopracciglia ben disegnate di Nina si fece più accentuata, specie quando Vasilij, dopo averla lasciata contemplare i lavori che s’affacciavano da ogni angolo della stanza come allettanti sorprese in un mondo fatato, le mostrò l’acquerello che aveva dipinto per lei.

«L’ho buttato giù subito dopo la nostra telefonata. Ho avuto un’improvvisa voglia di dipingere e l’ho fatto. La tua voce mi ha colpito molto. » ripeté per la seconda volta in quel pomeriggio.

Dopo un istante di silenzio, in cui mille pensieri avevano affollavano la mente di entrambi, aggiunse: «L’ho intitolato A una voce sconosciuta. »

Nina nel sentire quelle parole che uscivano dalla bocca di Vasilij, mandando nell’aria un delizioso sentore di cioccolata, e che si spandevano con tale delicatezza e signorilità, si sentì percorsa da uno strano calore che le riempì il cuore, e forse l’anima intera.  Con un filo di voce, mentre il Maestro le metteva tra le mani il piccolo dipinto, grande quanto la pagina di un libro, disse con un leggero tremolio: « Non so cosa dire, Maestro. »  Vasilij la corresse: « Non so cosa dire, Vasilij. » Lei lo guardò oltre gli occhiali, dentro quegli occhi di cui, se ne rendeva conto allora, s’era già innamorata. « Non dire niente, Nina. » Era la prima volta che Vasilij pronunciava il suo nome, e nel  pronunciarlo lì, nell’intimità di quella stanza che sapeva di colori ed olio di lino, le sembrò come di farla sua.

L’avrebbe sposata, quella ragazza, a dispetto della differenza d’età.

Lo aveva deciso quando era per lui non più di una voce sconosciuta. Avrebbe scritto a Gabriele la sera stessa e si sarebbe fatto spedire le tele che aveva lasciato nella loro casa a Murnau.

……….

Mentre in sole scendeva sui tetti di Mosca, i colori dentro e fuori il cuore e l’anima di Vasilij esplosero come in una grande e meravigliosa sinfonia.

Ebbe una gran voglia di dipingere ma, prima di tutto, di baciare Nina. Così le si avvicinò, la prese per le mani, accostò le sue labbra alle sue e tutto fu naturale, proprio come dipingere.