Originale, brillante e intenso, così Zeocalcare impone lo stile della graphic novel nello scenario della letteratura italiana. Perché c’è ancora tanto da raccontare, e il suo sguardo ci riporta alla grandezza della realtà
È come respirare a pieni polmoni una boccata d’aria fresca dopo una giornata passata in una zona industriale, tuffarsi nelle graphic novel di Zerocalcare. Fresche, intense, originali, sarcastiche e fantastiche, nel senso più immaginativo del termine, le sue vignette. Michele Rech, in arte Zerocalcare, da sempre si porta dietro sapori e odori del quartiere di Rebibbia, della gente, dei nomi tatuati come simboli di un’identità indelebilmente incisa sulla testa di chi li porta. I suoi mentore, non è difficile scorgerne i segnali, sono Makkox e Gipi, e con il loro supporto ha già realizzato La profezia dell’Armadillo e Una storia, e nel suo sito online è possibile leggere le vignette periodicamente.
Ma è l’ultima realizzazione di Zerocalcare, Dimentica il mio nome (edito Bao Publishing, 2014), a sancirne l’entrata a due piedi nella piena consapevolezza della sua arte. Si percepisce dai dialoghi, sempre scanditi da un linguaggio reale, crudo, ma allo stesso tempo attento e ragionato nell’intenzione di comunicare ciò che vuole in maniera precisa. Dimentica il mio nome sembra parlare da solo, e dar voce alle cose che fanno troppa paura per immaginarle nella sequenza di lettere che li compongono. E questo è il segno della maturità compiuta, in uno stile orginalissimo, che porta letteratura, fumetto, storia, ironia, il tutto compresso in 235 pagine di battute, in cui la storia familiare di Zc svela i suoi segreti, sciogliendo i nodi della vita di una nonna dalle origini francesi impaurita dal nome di Rebibbia, manco fosse Voldemort, per citare un dialogo. E forse è proprio nello svelare questi segreti, che viene ridato un senso ai nomi, all’identità e a quel significato che si nasconde dietro le paure, l’isolamento e le fughe per non affrontare i mostri del passato.
Dalla morte della nonna Huguette, personaggio chiave del racconto, si snodano i temi che portano l’anti-eroe alla crescita. È la storia di una famiglia, ma è anche la storia della comprensione di sé in un viaggio alla scoperta delle proprie radici. Nei dialoghi, nelle fantastiche rappresentazioni di personaggi archetipi, dall’impatto immediato e intenso, si intravede il tentativo di descrivere un mondo coperto da una campana di vetro. Sotto il rumore sordo che ogni evento produce nell’eco della campana, si legge un’interpretazione brillante di un isolamento che lega le vite come in una condanna. Ma da quella condanna Zerocalcare si vuole liberare, o meglio la vuole riscattare, ridandole la dignità che la pesantezza dei nomi cerca di schiacciare. E con la sua prospettiva, apre un varco in quella realtà presuntuosamente dimenticata, e lo fa perché il peso dell’eco sordo dei non-nominati non rimbombi all’infinito. La sua scrittura, che passa ingiustamente inosservata, non è solo originale, ma offre una nuova chiave di lettura della nostra società, innovativa e vera, in alcuni casi più di romanzi autoreferenziali che con il linguaggio della realtà, hanno perso ogni legame.
Zerocalcare ha dimostrato che la generazione dei trentenni italiani non solo è viva, e ha molto da insegnare, ma in più ci vede benissimo, e sa come raccontare ciò che lo sguardo osserva