Un mese, davvero è passato un mese? Anche un po’ di più, l’ultima spigolatura risale al 31 ottobre. Ed eccomi ancora una volta qui, a riordinare gli appunti sparsi che vado buttando giù mentre leggo.
Oltre a ultimare la lettura del romanzo di Oz, Giuda, di cui ho parlato nella precedene spigolatura, ho letto per intero un libro di Antonio Pascale, un libro di Patrick Modiano e un libro di Cristina Comencini. Ho iniziato il quarto libro della saga napoletana di Elena Ferrante, già commentato su LetteraTu, Storia della bambina perduta, e un altro libro di Modiano, Dora Bruder.
Nel vero spirito della spigolatrice, estraggo dal caos delle notazioni estemporanee un mazzetto il più possibile ordinato di impressioni, di frasi che mi hanno colpito.
Pascale e Modiano non li avevo letti. Le attenuanti sentimentali (Einaudi), del primo, mi è piaciuto perché risponde alla mia idea aperta del romanzo, che può anche non percorrere la storia dei personaggi dalla culla alla bara. Il protagonista, che si chiama come l’autore, racconta le sue nevrosi, la sua insonnia, i giri per Roma in bicicletta, i progetti creativi, il rapporto con le donne, con gli amici, con la famiglia. Ho trovato il testo divertente e non superficiale, ma avrei forse preferito una copertina meno furba; la generosa scollatura di una donna senza volto che fa da sfondo a una bicicletta mi ha ricordato alcune pubblicità di automobili e altri beni di lusso (l’automobile ormai è tornata a esserlo).
Di Modiano ho letto L’orizzonte (Einaudi) e, come dicevo, ho iniziato Dora Bruder (Guanda). Nel primo un uomo e una donna si amano a Parigi, inseguiti da misteriosi fantasmi del passato. Si perdono, forse alla fine si ritrovano. Niente rivelazioni finali. Io l’ho trovato affascinante, forse anche perché l’autore si preoccupa assai poco della trama e molto più delle atmosfere. Magari proprio per questo a molti non piacerà. A un esordiente, in Italia, un libro così non verrebbe mai pubblicato; l’autore si sentirebbe chiedere: dov’è l’intreccio? e che significa quel finale aperto, che non appaga la curiosità del lettore? Invece Modiano vince il Nobel per la letteratura e questo mi riempie di soddisfazione (mi accontento di poco). E poi riconosco vibrazioni mie in alcuni passaggi sulla memoria, sulla graduale perdita di contorni dei ricordi; soprattutto, mi ritrovo in una riflessione su quella che l’autore chiama la «materia oscura» dell’esistenza: «Dietro agli avvenimenti precisi e ai visi familiari avvertiva tutto ciò che era diventato materia oscura: brevi incontri, appuntamenti mancati, lettere perdute, nomi e numeri di telefono scritti su una vecchia agenda che non ricordi più, e uomini e donne che hai incrociato senza nemmeno saperlo. Come in astronomia, la materia oscura era più vasta rispetto alla parte visibile della tua vita».
Di Dora Bruder ho letto ancora solo poche pagine. Inizia cosi: «Otto anni fa, su un vecchio numero di “Paris-Soir” del 31 dicembre 1941 mi sono soffermato sulla rubrica di terza pagina: Da ieri a oggi. Nelle ultime righe, ho letto: “PARIGI Si cerca una ragazza di 15 anni, Dora Bruder, m1,55, volto ovale, occhi castano-grigi, cappotto sportivo grigio, pullover bordeaux, gonna e cappello blu marina, scarpe sportive color marrone. Inviare eventuali informazioni ai coniugi Bruder, boulevard Ornano 41, Parigi». Di questa sconosciuta Modiano prova a ricostruire le vicende, la fuga dal collegio e il percorso in fondo al quale c’è Auschwitz.
Voi non la conoscete (Feltrinelli), il libro di Cristina Comencini, racconta la storia di una donna come tante, con una vita come tante nella quale non si riconosce, o non si riconosce fino in fondo, tanto da crearsi un’esistenza parallela, distantissima dalla sua identità ufficiale, che la conduce infine alla partecipazione a una rapina e al carcere. Anche di questo romanzo mi piace riportare l’incipit: «Nella mia via fuori di qui c’erano ore senza razionalità, moderazione, amore, investite all’improvviso da furia e rabbia, tempeste d’odio. Nella natura il vento spinge le nuvole, il caldoe il freddo cozzano, sciolgono acqua, gonfiano il mare, tutto è spiegabile. In me no. Certi giorni, quando tornavo a casa, mi fermavo al palo dell’autobus, respiravo senza fiato, cercavo di calmare il battito del cuore. L’ordine delle ore, il lavoro, i figli, marito, tutto distrutto da un fuoco di cui non sapevo nulla». Queste righe iniziali contengono in embrione tutta la vicenda di Nadia, nei suoi tratti essenziali: l’insoddisfazione, la forza oscura e potente che stravolge un’esistenza in apparenza tanquilla e normale (parola usata e abusata, il cui senso a volte mi sembra pressoché incomprensibile).
E veniamo al romanzo della Ferrante, Storia della bambina perduta, ultimo capitolo delle vicende di Elena e Lila, del rione, di Napoli, di sessant’anni di storia italiana. Il tema che io trovo più forte è quello dell’amicizia fra le due donne, con tutte le ambivalenze di un rapporto in cui l’affetto a volte soccombe alla competizione, al sospetto, alla sensazione, spesso descritta dalla protagonista narrante, Elena, che Lila le sottragga qualcosa. I ruoli si capovolgono di continuo, ciascuna a turno protegge e si fa proteggere, critica e viene criticata, è la più forte e disciplinata o la più debole e smarginata (termine usato da Lila). La reazione delle due donne al terremoto del 1980, che le sorprende mentre sono insieme da sole, è davvero emblematica di tutto quello che le lega, avvicinandole e allontanandole per tutti i lunghi anni della loro amicizia. Nel modo di amare di Lila è sempre presente il bisogno di piegare gli altri ai propri scopi, servendosene spudoratamente e con una prepotenza che solo grazie al suo carisma le viene perdonata. Un personaggio complesso, non di rado detestabile, che prima o poi, sono convinta, vedremo in un film. Ambivalente è anche il rapporto di Elena (Greco? Ferrante?) con Napoli, città da cui fugge e alla quale torna, luogo descritto come «la metropoli europea dove con maggiore chiarezza la fducia nelle tecniche, nella scienza, nello sviluppo economico, nella bontà della natura, nella storia che porta necessariamente verso il meglio, nella democrazia si era rivelata con largo anticipo del tutto priva di fondamento». Mi dispiace di non avere più tempo per leggere; questo è uno di quei libri che meriterebbero di essere gustati senza interruzioni, concentrandovisi per qualche giorno. Ma mi sono abituata a vivere negli interstizi lasciati liberi dall’ingombrante sfera di ciò che è doveroso e ritengo ciò una fortunata conquista; se fossi una di quelle persone che non leggono (e non scrivono) se non hanno davanti almeno una settimana di vacanza avrei perso molte cose. Per esempio, queste spigolature non esisterebbero.
Rosalia Messina