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Patrick Modiano, memoria e destino in stile proustiano.

Patrick Modiano è lo scrittore francese che poco più di un mese fa è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura 2014 e viene unanimemente considerato dalla critica internazionale una sorta di Marcel Proust del nostro tempo per quella sua arte “della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione nazista in Francia”.

Il padre Albert era un ebreo di origini italiane e sposò Luisa Colpeyn, un attrice belga, da cui ebbe l’eclettico Patrick il 30 luglio del 1945 e due anni più tardi Rudy, il fratello minore che tanto significherà nella vita e nelle opere del futuro scrittore e artista.

I viaggi e gli impegni dei genitori fecero crescere i fratelli Modiano lontano da un normale contesto familiare, sballottati fra le tutele di parenti ed amici o tra le mura di collegi parigini quando un evento segnò le vite di tutti. Nel 1957 a soli dieci anni Rudy morì per una leucemia fulminante e da allora la vita di Patrick intraprese una direzione più ribelle ma tesa alla ricerca di un senso della sua memoria e soprattutto della sua famiglia. Alcuni anni dopo la morte di Rudy scrisse: “lo shock della sua morte è stato determinante. La mia ricerca continua di qualche cosa di perso, la questua di un passato terreo che non si può delucidare, l’infanzia bruscamente rotta, tutto ciò partecipa di una stessa nevrosi che è diventata il mio stato d’animo

Negli anni “60 la madre lo portò a studiare dall’amico poeta e scrittore Raymond Queneau che sarà non solo il suo più grande insegnante ma anche il suo pigmalione. A Quineau si deve infatti la riuscita della pubblicazione del primo romanzo “La place de l’Etoile” per l’editore Gallimard; era il 1968. Da quel momento quelle che erano collaborazioni o brevi occupazioni per sbancare il lunario furono abbandonate per dedicarsi completamente alla scrittura pubblicando così almeno un romanzo all’anno.

Nel 1969 “La Ronde de nuit”, nel “70, “Viali di circonvallazione” nel “72, e poi a seguire “Villa Trieste”, “Via delle botteghe oscure” (ispirato dalla omonima strada romana), “Una giovinezza”, “Riduzione di pena” e tanti altri , almeno una quarantina di romanzi e un discreto numero di sceneggiature per il cinema Francese ed internazionale arrivando fino a Cannes dove ha presieduto alla giuria del Festival nel 2000.

Ad una prima lettura la prosa modianesca  non è molto semplice, poiché tra le altre cose “l’universo di Modiano è chiuso e soffocante come un acquario e non vi troviamo nemmeno la pace che un giorno lui, bambino in fuga, vi trovò”, per usare le parole del Professor Norbert Czarny nel testo critico a commento di Fiori di rovina (1991).

Molti dei romanzi sono di ispirazione autobiografica ma con trame che sfiorano il genere del giallo alla Simenon. La traccia biografica che si mescola alla finzione narrativa ha quasi sempre un collegamento al padre ed alla madre e soprattutto al primo si addice l’atmosfera misteriosa e ambigua della Parigi del 1943 quando in piena guerra molti ebrei tentavano di sopravvivere alla furia nazista. Tra questi proprio Albert Modiano che una notte di quell’anno viene arrestato ma poi misteriosamente rilasciato grazie all’aiuto di un amico, non certo moralmente limpido. Da quel momento il padre riesce miracolosamente ad evitare l’internamento nei campi di Concentramento per se e la sua famiglia ma ad un prezzo altissimo, la lealtà stessa verso la sua gente. Modiano non ha mai accettato questa macchia oscura nella sua vita, sentendosi egli stesso colpevole del tradimento commesso dal genitore e per questo attraverso la sua prosa intende espiare oltre che ricostruire minuziosamente, indagandola, quella fase della storia francese e mondiale.

A questa ricerca personale della verità, che invero non verrà mai percepita né raccontata al lettore, sono legate alcune delle opere più famose e tradotte: Riduzione di pena del 1988, Fiori di rovina, Dora Bruder del 1997, e Un pedigree pubblicato nel 2012 e prima autobiografia ufficiale dell’autore. In quest’ultimo scrive nel prologo:

 “Scrivo queste pagine come si redige una constatazione o un curriculum vitae, a titolo documentaristico e probabilmente per finire con una vita che non era la mia. Gli avvenimenti che rievocherò fino al mio ventunesimo anno, li ho vissuti in trasparenza – questo procedimento che consiste in fare e sfilare sullo sfondo dei paesaggi, mentre gli attori restano immobili su un vassoio di studio. Vorrei tradurre questa impressione che molto altri hanno provato prima di me: tutto sfilava in trasparenza e non potevo vivere ancora la mia vita”.

Una memoria personale ma collettiva, la trama intima a tratti esistenzialista di un vissuto oscuro, non comprensibile, il tutto rappresentato con una prosa asciutta mai stucchevole eppure dai contorni onirici; sono queste le caratteristiche dello stile Modiano che attraverso la scrittura soffre e compie un gesto sacrificale. Nel 2010 in una intervista per il quotidiano “La Repubblica” descrisse ciò che per lui rappresentava il ruolo dello scrittore: “Oggi lo scrittore non è una specie di Dio che controlla i suoi personaggi, come era nel romanzo classico. I personaggi sfuggono al suo controllo ma proprio perché sono indipendenti, acquistano anche maggior verità. Anche per questo scrivere non è facile. E’ come avanzare sulle sabbie mobili. Si ha sempre l’impressione di sprofondare e di perdersi ma poi all’ultimo momento, miracolosamente, si riesce ad andare avanti”.