Essere creativi può voler dire molte cose. Ad esempio, avere molta immaginazione ed essere in grado di trasportare su tela, carta, in sala di registrazione, sullo schermo e pure sui muri delle città quella visione creativa per comunicarla agli altri. Può essere la capacità di percepire la realtà con uno sguardo diverso, soffermandosi sui dettagli secondari che invitano alla riflessione e alla scoperta. O forse è semplicemente la capacità di vedere il mondo, e di percepire l’invisibile, senza guardarlo, restandone affascinati per il mistero e la grandiosità.
Essere pazzi, invece, cosa vuol dire? La definizione viene facile a chi pensa che non comportarsi secondo gli schemi, lasciando libero spazio a esternazioni e comportamenti istrionici e anticonformisti, possa essere indice di anormalità, devianza, e quindi follia. Il diverso è per antonomasia l’anormale, il deviato, lo schizzato. La diversità, oggi come ieri, si colora di molte facce, come quella di chi si ama sapendo di avere la stessa anatomia dell’altro.
La creatività, tuttavia, secondo Mihaly Csikszentmihalyi, è essenzialmente la capacità di vedere il mondo attraverso una mente androgina, quella che non resta ingabbiata nelle differenze e stereotipizzazioni di genere, ma mescola le carte per tirarne fuori qualcosa di unico. Nel suo libro Creativity: The Psychology of Discovery and Invention (Creatività: la psicologia della scoperta e dell’invenzione) afferma che la persona creativa, cioè “una persona androgina dal punto di vista psicologico raddoppia il suo repertorio di risposte e può interagire con il mondo attraverso uno spettro più ricco e vario di opportunità”. La capacità di sovvertire e scardinare le barriere del pensiero, senza percepire i limiti di genere, crea nuove idee e stimoli.
Essere in grado di percepire l’esterno in maniera non convenzionale, saper ascoltare il mondo nei suoi suoni più nascosti: questo hanno fatto, secondo Douglas Fields, alcune delle personalità più creative della storia. Lord Tennyson, Virginia Woolf, Vincent Van Gogh, Ernest Hemingway, Edgar Allan Poe sono tutti accomunati da una caratteristica commune, quella che comunemente chiamiamo pazzia. Nella sua ricerca, che si affida, fra gli altri, al testo di R.E. Jung, White matter integrity, creativity, and psychopathology: Disentangling constructs with diffusion tensor imaging, Fields sottolinea come in questi artisti il legame fra creatività e disordine mentale sia quanto mai stretto, in quanto quest’ultimo “espande la loro immaginazione e abbraccia un pensiero più grande”. Gli abissi della disperazione li portano ad investigare le “profondi dimensioni delle esperienze umane, contemplando il significato della vita, confrontandosi con la certezza della morte, e combattendo contro l’agonia della disperazione per sopravvivere alle avversità”.
Creare significa dar vita a qualcosa di nuovo, originale, unico, e solo la pazzia può dare il coraggio all’avventura per cominciare il suo cammino.