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La conclusione del grande capolavoro di J.R.R. Tolkien: “Il ritorno del Re” e della Speranza degli Uomini.

A un certo punto dell’opera, Gandalf narra a Frodo di come l’Unico Anello, forgiato col fuoco del Monte Fato, cadde nelle mani di Gollum, e come costui, in tempi remoti, fu invece Sméagol, un hobbit attratto dalle caverne e dalle radici. Nell’universo tolkieniano, Sméagol è un essere condannato alla conoscenza materiale e primitiva delle cose, incapace di comprendere che la forma è essenza, che dalle radici o dalle foglie si rivela la verità della pianta. Predisposto alla povertà dell’anima, alla parte più degradante e facilmente corruttibile del cuore degli uomini, e quindi asservito con ineluttabile forza dalle lusinghe del Male, Sméagol diviene Gollum, manifestazione paradigmatica, oserei dire, di cosa intende Tolkien quando leggiamo «Il dolore è una dote per un animo duro» (da I Figli di Hùrin), ovvero il Male non può scalfire gli animi forti, incorruttibili, coloro che sperano e che credono. Come non citare, allora, i versi che Bilbo compone in riferimento ad Aragorn?

Non tutto quel ch’è oro brilla,

Né gli erranti sono perduti;

Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza,

Le radici profonde non gelano.

Dalle ceneri rinascerà un fuoco,

L’ombra sprigionerà una scintilla;

Nuova sarà la lama ora rotta,

E re quel ch’è senza corona.”

(La Compagnia dell’Anello)

Il Signore degli Anelli, opera in cui si cristallizza l’intero percorso intellettuale di Tolkien, e conca letteraria nella quale si amalgamano tutte le esperienze fatte in vita dal suo creatore (svetta su tutte la drammatica esperienza tra le trincee della “Battaglia delle Somme” durante la Grande Guerra), è, soprattutto, un libro pervaso, in ogni sua pagina, da un forte senso di Speranza: «Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte.» (La Compagnia dell’Anello)

Gollum, nonostante la pena e la compassione che ci trasmette, resta un essere miserevole, che il Male ha reso completamente meschino. Il destino dell’Unico Anello non può concludersi con lui. Esso s’intreccia con i suoi detentori ma, insegna Gandalf, al di là di essi vi è una forza superiore, la Provvidenza. Gollum, Bilbo e poi Frodo dovevano impadronirsi dell’Anello, e non per volontà di chi l’aveva forgiato. Quando, in un mirabile discorso tra Frodo e Gandalf, l’hobbit esclama che Gollum merita la morte, il mago gli risponde: «Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze. […] Anch’io come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato.» Ogni uomo è piccolo di fronte a un Destino che viene tessuto continuamente dalla Provvidenza, ma ogni suo gesto può assumere un valore, un Senso che può essere colto solo nella Speranza. Una speranza che non appartiene al regno di Dio, ma al regno degli Uomini.

Ed è proprio la volontà che questa speranza diventi realtà – che diventi concretezza in un mondo caotico, finalmente umano in un’epoca abominevole – ad accompagnarci tra le vicende del terzo ed ultimo libro del capolavoro tolkieniano, Il ritorno del Re.

Tutto riprende quando il Signore del Male decide di scatenare il suo esercito nel reame di Numenor, retto dal Re Denethor. Soltanto l’arrivo tempestivo delle truppe di Rohan può aiutarlo. Intanto il Re impazzisce e muore isolato nella sua roccaforte. Gandalf ed Aragorn evitano il crollo e la disfatta. La Compagnia, insieme agli uomini di Numenor, prima di fronteggiare le forze del Male in un’ultima grande battaglia, dove si decideranno le sorti degli Uomini e di tutti gli altri esseri viventi, fondano una nuova dinastia incoronando Aragorn, il solo a potersi meritare il trono: discendente d’Isildur (ultimo Re degli Uomini) ed erede al trono di Gondor, capitale di Numenor. L’ultima battaglia è campeggiata da Aragorn e da Gandalf, un esercito che va incontro al Nemico con l’unica intenzione di distrarlo, mentre Frodo, aiutato da Sam, tenta di avvicinarsi al Vulcano. La disperata impresa riesce: Frodo scaraventa l’Anello nelle fiamme dalle quali è stato forgiato, mettendo sotto scacco le difese del Male. Sauron verrà completamente distrutto, di lui non resterà più nulla.

Il Signore degli Anelli finisce così come doveva finire: la vita riprenderà a scorrere come un tempo, ma quella dolcezza del vivere non sarà più come una volta…