Sconosciuto ai più – talvolta ai connazionali stessi – l’architetto, poeta, letterato, etnografo, scienziato, intellettuale Nikolaj Aleksandrovic L’vov, vissuto fra il 1753 e il 1803, è rimasto nella storia non solo per la Porta sulla Neva della fortezza di Pietro e Paolo ma anche per aver contribuito, in modo determinante, alla conoscenza dell’architettura di Andrea Palladio nella Russia di Caterina II.
Nel 1798 tradusse nella sua lingua madre I Quattro Libri dell’architettura (1570) del grande Maestro del tardo Rinascimento, convinto che la loro diffusione avrebbe dato un impulso significativo all’evoluzione dell’architettura russa.
Dal temperamento ribelle, testardo ed ingegnoso, rimasto orfano, scelse la scuola militare ma, nel corso degli studi, la propensione verso interessi più intellettuali e culturali emerse con tutta evidenza. Sensibile viaggiatore, attento osservatore, grande sperimentatore, lettore appassionato degli autori francesi del Secolo dei Lumi, spaziando dalle lingue straniere alle scienze, fu uno dei promotori della traduzione in russo dell’Encyclopédie.
Nel 2014, Anno del Turismo Incrociato Italia-Russia, un’interessante mostra ci ricorda uno dei momenti focali nella creazione dei legami tra le culture di due Paesi così diversi eppure così vicini.
“RUSSIA PALLADIANA. Palladio e la Russia: dal Barocco al Modernismo” (fino al 10 novembre 2014, presso il Museo Correr, Venezia) è l’occasione per scoprire o riscoprire questi legami.
Sebbene il manoscritto della prima traduzione in russo del trattato di architettura di Palladio sia attribuito al principe Vasilij Vladimirovič Dolgorukov – e reca la data del 1699 – il ruolo di Nikolaj Aleksandrovic L’vov nella diffusione del “palladianesimo” (o “neopalladianesimo”) in Russia non solo è testimoniato ma pressoché indiscusso.
Una storia di trecento anni che, per la prima volta, viene ricostruita e ripercorsa attraverso materiali inediti, provenienti da archivi e musei di tutta la Federazione, grazie anche alla collaborazione tra importanti istituzioni e musei italiani e russi.
Iniziati quando Palladio aveva ventidue anni, i Quattro libri furono illustrati, nel corso del tempo, con le sue opere, dall’architetto stesso; rivisti nelle diverse edizioni e tradotti in francese, olandese, inglese. Ispirarono un gran numero di architetti fino al XIX secolo ed si imposero come la pubblicazione di architettura più influente mai realizzata nella storia dell’arte, “la Bibbia dell’architettura”, come la definì Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti d’America, grande ammiratore dell’architetto veneto.
Il nome di Andrea Palladio – associato a quello stile architettonico basato sul rispetto dei principi teorizzati dal romano Vitruvio nel suo De Architectura (29-23 a.C.) e sviluppati da Leon Battista Alberti nel XV secolo – ebbe una risonanza straordinaria in tutto il mondo occidentale e in Russia fu fonte d’ispirazione per la progettazione architettonica dell’intero Paese (e di San Pietroburgo in particolare) inserendosi perfettamente in quell’apertura verso il mondo occidentale e nella creazione della nuova coscienza intellettuale, culturale, artistica ed estetica di cui Pietro Il Grande, prima, e Caterina II, dopo, si fecero propugnatori.
Le alterne vicende di L’vov – conobbe e lavorò per tre zar, non sempre con gli esiti sperati – non appannano, tuttavia, la luminosità di una figura lungimirante, entusiasta e cruciale, ricostruita con grande accuratezza da Federica Rossi in Palladio in Russia. Nikolaj L’vov architetto e intellettuale russo al tramonto dei Lumi, curatrice anche de Il taccuino italiano di Nikolaj L’vov, in cui l’intellettuale russo raccolse appunti, note, commenti sui monumenti e le opere d’arte che ebbe modo di vedere e conoscere, attraversando le capitali dell’arte italiana (Roma, Firenze, Venezia) nonché aneddoti sulle personalità di spicco dell’epoca che incontrò, insieme ai disegni sul suo viaggio in Italia nel 1781.
Non sorprende affatto che, a distanza di secoli, l’Italia non smetta d’ispirare e affascinare i russi, ancora propensi a rivivere, in chiave moderna – ma non troppo – l’esperienza culminante del Grand Tour , quel “viaggio in Italia”, tappa obbligata nella crescita culturale, intellettuale e personale di un autentico “cittadino del mondo”. Ciò che ogni russo desidera essere, oggi più che mai.