Morte, mi appello contro il tuo rigore,
tu che la donna mia ti sei rapita,
sazia non sei ancor, non hai finito?
non tenermi così sempre in languore.
Da allor non ebbi più forza e vigore;
che male ti faceva essendo in vita,
Morte?
Eravam due, non avevam che un cuore;
se è morto, è d’uopo che esca dalla vita,
oppure che io viva senza vita,
come di immagini vano errore,
Morte!
Francois Villon
Il primo poeta maledetto.
Francois Villon è uno dei protagonisti più irruenti di tutta la letteratura francese. La sua vita fu segnata da controverse e scottanti vicissitudini. La sua penna, però, da secoli non smette di incantare i suoi lettori. Sovvertitore non solo dell’ordine pubblico, si dimostrò un ribelle anche in poesia. Rovesciò i valori riconosciuti e si pose in completa antitesi con l’ideale cortese.
Dunque, anche in tema d’amore il nostro poeta riesce a sorprendere e ad affascinare. Questi pochi versi ce ne danno un saggio originale.
Eros e Thanatos, il binomio per eccellenza, viene riproposto in questo breve componimento amoroso in modo del tutto imprevedibile.
Villon costruisce un dialogo aperto e problematico con la morte. Anzi, a quest’ultima rivolge un vero e proprio appello. La morte infatti ha strappato all’uomo la sua amata. Tuttavia, non si è semplicemente spezzata inesorabilmente la coppia di amanti, al contrario con la donna sta scomparendo anche l’uomo. Tolta una parte, viene meno il tutto.
Morte è stata crudele e spietata. Il poeta allora disperato si chiede da dove e perché tanto accanimento, quale tremendo misfatto avrebbe potuto determinare una così tragica pena e infine che male potrebbero mai aver causato due corpi e un’anima sola.
Spenta l’anima, che vita resta per un corpo senza cuore?
Un capolavoro che travalica le barriere del tempo, intramontabile, che a distanza di sei secoli riesce ancora ad essere attuale, apprezzato, compreso. In definitiva, un’esaltazione dell’amore attraverso un attacco alla morte.
Benché Thanatos domini il testo, Amor vincit omnia, comunque.