Di lui si conosce ben poco rispetto a quanto produsse durante la sua vita: americano vero per ideologia e abitudini, Mark Twain deve la sua fama non soltanto alla celebre storia di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, almeno non per ciò che lo riguardò agli esordi. La chiave del suo successo fu innanzitutto una personalità piuttosto eterodossa e una spiccata vocazione verso ciò che più di ogni altra cosa lo interessava: l’uomo.
Nel titolo abbiamo volutamente giocato con l’ironia di quanto affermato da William Faulkner, il quale lo definì, appunto, il “primo vero scrittore americano”, riferendosi alla celebrità di cui Twain, o meglio Samuel Langhorne Clemens (suo reale nome), godeva.
Il suo pseudonimo, come spesso accade, era legato alle sue passioni: la sua principale manifestatasi prima di ogni altra fu quella di diventare un pilota di battello, sogno che realizzò impegnandosi duramente nell’ottenimento della licenza. Il suo lavoro trascinò anche il fratello Henry su un’imbarcazione, con il funesto risultato della morte di quest’ultimo per un incidente alla caldaia della nave.
Persino questa faccenda così profondamente grave, tuttavia, riuscì ad accendere in Twain il proprio interesse per le forze occulte dell’uomo: egli iniziò ad interessarsi di parapsicologia dopo aver sognato la morte del fratello, raccontando periodicamente le proprie sensazioni nell’opera autobiografica Vita sul Mississippi.
Qualcosa andava ulteriormente cambiando, a causa di forze che, ancora una volta, non erano controllabili per lo scrittore dallo pseudonimo legato alla navigazione (Mark Twain stava probabilmente per “segna due”, ossia due “tese”: unità di misura per indicare una sufficiente profondità del fiume, considerato pertanto navigabile). Lo scoppio della guerra civile americana rese di fatto il suo mestiere non più richiesto, dato che i canali divennero impraticabili per le imbarcazioni civili; fu così che, dopo diversi spostamenti, ed avendo disertato anche l’esercito dei sudisti per la sua avversione allo schiavismo, si fece convincere a tornare a scrivere dalle parole dello scrittore umorista Artemus Word. Poco dopo essersi trasferito in California, iniziò anche la propria attività di giornalista freelance in pianta più o meno stabile.
Altro capitolo fondamentale della vita di Twain, decisivo per la formazione della sua sensibilità “umanistica”, fu il lungo viaggio intrapreso alla volta dell’Europa e della Palestina. In particolar modo egli ricorda con disappunto lo stato di abbandono in cui versavano siti d’interesse storico come la città di Pompei o i Fori Imperiali, nonché l’oppressione silente ed intellettuale esercitata dalla Chiesa in Italia sui propri abitanti. D’altro canto, a più riprese lo scrittore statunitense non poté fare a meno di elogiare con grande stupore la bellezza di alcuni panorami italiani, e l’operosità della borghesia che risiedeva in quel paese così pieno di contraddizioni.
Di ritorno negli Stati Uniti, dopo aver sposato Olivia Langdon ed essersi trasferito nel Connecticut (la moglie morirà poco dopo in Italia), il successo non si fece attendere: Twain pubblicò infatti Le avventure di Huckleberry Finn (1884), seguito de Le avventure di Tom Sawyer (1876), oggi considerati da alcuni studiosi romanzi picareschi.
In buona sostanza, Twain fu da sempre un appassionato dell’osservazione umana, e per tale ragione in queste due opere riuscì a condensare una serie di filoni facenti capo non solo alla novella per ragazzi, ma anche alla letteratura socialmente impegnata, non di rado intessuta di pesanti critiche satiriche alla situazione politica americana nello specifico, e alla condizione umana in generale.
Di grande interesse per la tua poetica risulta essere un suo manoscritto mai completato, una sorta di spin-off dei suoi due masterpiece, intitolato per convenzione Indians, poiché in esso i due protagonisti incontrano i pellerossa con il risultato di un vivido quadro descrittivo delle tribù di indiani d’America, infarcito di stilemi artistici propri, s’intende. L’aspetto più interessante è da indentificarsi proprio nelle ragioni legate all’incompletezza di tale scritto: perché Twain non completò mai il suo capitolo dedicato agli indiani?
La risposta, come si immagina, non è semplice: ma proveremo a tracciare comunque una duplice via.
La prima senza dubbio legata alle forti pressioni del mercato, che vedono un Twain sempre attento alle richieste commerciali del suo pubblico, che per questo doveva essere accontentato con scritti di veloce stesura. La seconda fu probabilmente di ordine ideologico, dettata dalla sua educazione di irriducibile uomo della Virginia (da parte del padre). Egli era infatti convinto che, sebbene l’essere umano fosse informato su questioni legate alle sfere scatologica e sessuale, tali argomenti dovessero essere tenuti fuori da ogni tipo di letteratura “di consumo”, quale oggi potremmo considerare i prodotti letterari di M.T.
Anche la sua morte rimane infarcita di misteri più o meno indotti dalla fantasia speculativa umana: egli scrisse infatti nel 1909: “Sono arrivato con la cometa di Halley nel 1835. Tornerà l’anno prossimo e io me ne andrò con lei”. Si rifaceva spesso a questo aneddoto legato alla propria nascita; e fu così che il 21 aprile 1910 un infarto cardiaco lo stroncò all’età di 74 anni.
Twain e molti membri della sua famiglia sono stati sepolti presso il Woodlawn National Cemetery; curioso notare che la sepoltura si trovi, per volontà della figlia Clara, a 12 piedi di profondità (3,7 metri), ossia a “due tese” dalla superficie: la “profondità perfetta” per Twain.