Un po’ di tempo fa avvenne un fatto, uno di quegli accadimenti di per sé assolutamente trascurabile, ma che visto appena appena da un’altra prospettiva può rivelare tutto il suo lato magico. Teatro di quello strano incantesimo fu nientedimeno che casa mia, fino ad allora nido concreto e realistico.
Appunto in questo nido, dove si udì ripetutamente un campanello suonare, entrarono i parenti del proprietario (dopo che lo stesso ebbe dischiuso l’uscio, ovviamente), cioè i miei parenti, visto che la casa è mia, ovvero il nipote e la nipote della mamma del protagonista, che poi sarei sempre io, con il figlio, un ometto di circa sei anni. Ma mi devo fermare, e con me anche tutta questa confusione, perché adesso non ce n’è proprio di bisogno, più tardi sarà regina incontrastata- la confusione -ma adesso no. Non è il caso. Devo rilassarmi, fare un respiro profondo ed esporre le cose con ordine, con chiarezza. Mi accorgo che non ci vuole poi molto, basta stare calmi. Concentrarsi.
Ecco, quel giorno vennero a trovarmi i miei cugini con il figlio piccolo. Fino a qua ci sono. Ci mettemmo comodi. Dopo aver scambiato qualche parola entrai in cucina, era giunta l’ora del caffè. Loro, dall’altro lato, parlavano ancora, mi rivolgevano delle domande alle quali rispondevo sempre con degli immancabili: “Ah? Come?” E sì, il rumore della caffettiera saliva ed io non riuscivo a capire una sola parola. Dovettero venire a parlarmi all’orecchio per ottenere risposte un po’ più soddisfacenti.
Rientrammo in sala poco dopo: il piccoletto non c’era. Mi precipitai subito in camera da letto. ORROREEE!!! ERA LI’!!! Era lì, vicino alla libreria! O meglio, l’orrore per me non era un bambino vicino a una libreria, ma un bambino vicino a una libreria che prendeva i libri, gli strappava delle pagine e le mischiava in altri libri. In pochi minuti, il tempo di fare un caffè, aveva compiuto una strage.
Sentii il respiro farsi pesante, pesantissimo. Era ormai un respiro obeso. Sentii anche una rabbia farsi rapidamente strada, coprire ogni minima cellula del mio corpo. Ero una sagoma fumante, sarei esploso da un momento all’altro. Fossi stato quel marmocchio sarei scappato a gambe levate. Restando a guardare quello scempio però, quello che a prima vista sembrava uno scempio, a poco a poco la collera scomparve da me, scacciata miracolosamente da un’immaginazione divertita. Raccolsi il primo volume a terra, era La Recherche, Proust. Al suo interno, cinque o sei pagine del Don Chisciotte. Si lamentava, era un cavaliere errante, lui. Andava in cerca di avventure, non di biancospini o di cattedrali. Chi ce l’aveva messo là dentro? “Ignoranti, rimettetemi subito al mio posto. Le donzelle hanno bisogno di me!” Mentre lo spaesato ruggiva, ne raccolsi un altro, di libro. Moby Dick, Herman Melville. Ancora una volta, un ibrido. Tra le sue pagine, sette o otto di Chiedi alla polvere. “Sei pronto a sfidare la balena bianca, simbolo della potenza divina? Dico a te, Arturo Bandini. Sei pronto?” – Era Achab. “Io?” – rispose quello – “Beh, se questo non implica essere un cattivo cristiano, io non ho problemi. Mi sembra che ammazzare balene, proprio balene, non rientri nei divieti specifici dei comandamenti, non è vero?”
Altro avrei da dire, molto altro. Ma a che servirebbe? Tanto lo avete capito, no? Quel moccioso, il tempo di fare un caffè e la letteratura nel caos.