Per essere un artista completo non basta essere pittore, scultore o architetto: bisogna anche essere poeta, se si vuole attingere una piena e integrale capacità d’espressione.
Tu continuerai a ritenerti un cattivo poeta fino al giorno in cui avrai davvero qualcosa da esprimere: allora ti troverai sottomano gli arnesi della poesia, vale a dire la metrica e la rima, come oggi hai sul banco di lavoro il martello e lo scalpello.
(da “Il tormento e l’estasi” di Irwing Stone)
Sono le parole che Angolo Poliziano e Girolamo Benivieni, illustri membri dell’Accademia platonica fondata da Marsilio Ficino, rivolgono al giovane Michelangelo Buonarroti quando Lorenzo il Magnifico, riconosciuto immediatamente il suo talento, lo accoglie, tra il 1490 e il 1492, nel Giardino mediceo, con l’intento di contribuire alla sua formazione umana, culturale ed artistica.
In esse è contenuta quasi una “profezia” su ciò che il giovane artista diventerà al termine della sua lunga esistenza (morirà all’età di ottantanove anni).
Dedicare, oggi, all’artista più completo di sempre una mostra dal titolo “1564-2014 MICHELANGELO Incontrare un artista universale” (Roma, presso i Musei Capitolini, fino al 14 settembre 2014) significa riconoscere che quella “profezia” si è avverata, a dispetto di quanti, in passato, hanno dato priorità ad una o all’altra delle arti in cui l’artista fiorentino comunque eccelse, senza considerare la complessità del suo contributo all’Arte in senso più ampio e, in quanto tale, universale.
E se la competenza in campo artistico di Michelangelo viene riconosciuta da Donato Giannotti, che lo inserisce tra i protagonisti dei Dialoghi de’ giorni che Dante consumò nel cercare l’Inferno e ‘l Purgatorio (1546), oggi è più che mai evidente che il recupero del Michelangelo poeta appare non solo funzionale ma necessario se si vuole ricostruire un ritratto il più fedele possibile di questo genio e, soprattutto, se si vuole che l’etichetta di “artista universale” gli calzi a pennello.
“Sembri così aspro e duro, ma appena parli di scultura diventi un poeta” dice Francesco Granacci, il giovane artista che lo introduce nella bottega del Ghirlandaio, in un passaggio de Il tormento e l’estasi.
Michelangelo compose i suoi primi versi sotto l’influenza delle letture dantesche, petrarchesche e dei poeti fiorentini di fine Quattrocento, a cui fu instradato dall’Accademia ficiniana ma è nella maturità, e ancor più nella vecchiaia, che si concentra la sua produzione poetica.
Stampate postume nel 1623, per iniziativa di un nipote dell’artista, le Rime di Michelangelo sono speculari rispetto alla sua produzione artistica e offrono una chiara testimonianza di quell’animo che passò la vita ad interrogarsi, a tormentarsi, sempre in bilico tra quell’umanità e quella divinità, che lo rende così vicino a noi e allo stesso tempo inarrivabile, in estasi, troppo lontano perché così vicino a qualcosa di più grande.
La mostra documentaria, allestita nel cuore della città di Roma, in quella piazza del Campidoglio che il genio michelangiolesco seppe rendere unica al mondo, ne ripercorrere la vita e la produzione artistica, con oltre centocinquanta opere, di cui una settantina del maestro fiorentino, arrivate da molte tra le più importanti istituzioni culturali italiane e straniere, per celebrare i 450 anni dalla sua scomparsa.
Suddivisa in sezioni espositive, per temi in contrasto tra loro (antico e moderno; vita e morte; battaglia, vincitori e vinti; tradizione e licenza; la notte e il giorno; amore celeste, amore terreno), la mostra offre un quadro esaustivo di quello che l’artista realizzò e i suoi capolavori, intrasportabili, sono fruibili per la prima volta in modo completo e multimediale, attraverso l’uso delle nuove tecnologie che contribuiscono ad una conoscenza ancora più approdondita dell’artista trasmessa, oltre che dal Carteggio Diretto, Carteggio indiretto, Lettere, Ricordi (curati da Paola Barocchi), dalla scrittura dei biografi come Paolo Giovio in Michealis Angeli Vita (1527 ca), Giorgio Vasari ne le Vite (1550), Michelangelo Ascanio Condivi in Vita di Michelagnolo Buonarroti (1553) e, più di recente, da Il tormento e l’estasi di Irwing Stone (1961).
Quest’ultima, biografia romanzata con ricchi e precisi riferimenti storici, resta di certo il viaggio più affascinate che, attraverso la lettura, si possa compiere nel Rinascimento e nella vita di Michelangelo Buonarroti, facendone un vero e proprio eroe del suo tempo.
Il suo carattere “tanto rude e selvatico”, “da far paura a chiunque perfino ai papi”, ha costruito e continua a costruire nell’immaginario collettivo, fatto di milioni di lettori e di spettatori (ricordiamo anche la straordinaria interpretazione che ne diede Charlton Heston nella trasposizione cinematografica, con soggetto dello stesso Irwing Stone, di Carol Reed), una figura dal fascino insuperato e insuperabile, a distanza di 450 anni.
E se Michelangelo riuscì sempre in scultura a rimuovere la parte superflua ( il “soverchio” ) riducendola alla forma ideata dall’artista, così come aveva insegnato Donatello anni addietro, non allo stesso modo riuscì a plasmare l’amore attraverso la poesia, così come si evidenzia nei numerosi sonetti tra cui spicca certamente Non ha l’ottimo artista alcun concetto, uno dei tanti indirizzati a Vittoria Colonna, mente brillantissima della cultura italiana del tempo, a cui fu legato da un solido rapporto amicale, che tanto peso ebbe nel suscitare le sue riflessioni artistiche, religiose e teologiche e, conseguentemente, nel suo tormentato rapporto con l’arte e con Dio, riassumibile, se vogliamo, in questo passaggio dei Diari: “Desti a me quest’anima divina e poi la imprigionasti in un corpo debole e fragile, com’è triste viverci dentro.”
Lo “scultore di marmi bianchi”, “chiuso in un’armatura di diamante”, nato e cresciuto nelle colline di Settignano, “che avevano un cuore di pietra e un seno di velluto” seppe infondere alla scultura (il suo più grande amore), alla pittura, all’architettura e alla poesia uno spirito nuovo, scavando proprio in quella natura umana che fin dall’antichità aveva rappresentato il centro dell’arte ma che solo nel Rinascimento si nutrì di quegli elementi filosofici, religiosi e teologici che resero l’arte “ancora più umana” e che, con Michelangelo, raggiunse le sue vette più alte, nel capolavoro della Cappella Sistina e del Giudizio universale, la più straordinaria eredità che un artista universale come Michelangelo potesse lasciare all’umanità.
Le rivide ad una ad una, nitide come il giorno in cui le aveva compiute: le sculture, i dipinti e le architetture, che si susseguivano rapide e incalzanti come gli anni della sua vita. La Madonna della Scala e la Battaglia dei Centauri che aveva scolpito per Bertoldo e per Lorenzo de’ Medici, con il gruppo dei Platonici che sorridevano del suo puro stile greco; il San Procolo e il San Petronio, eseguiti per l’Aldovrandi a Bologna; il Crocifisso ligneo, per il priore Bichiellini; il Cupido dormente, con il quale aveva fatto cadere in inganno il mercante romano; il Bacco, elaborato nel giardino di Jacopo Galli; la Pietà commessagli dal cardinale Groslaye di San Dionigi per la vecchia basilica di San Pietro; il gigantesco Davide, scolpito per il gonfaloniere Soderini e per Firenze; la Sacra Famiglia, che s’era lasciato indurre a dipingere per Agnolo Doni; il cartone della Battaglia di Cascina o dei Soldati al fiume, allestito per ergersi a rivale di Leonardo da Vinci; la Madonna di Bruges, scolpita nella sua prima bottega; la disgraziata statua di bronzo di Giulio II; le pitture della vòlta della Sistina, compiute per il medesimo pontefice, e il Giudizio Universale, creato per Paolo III; il Mosè per la tomba di San Pietro in Vincoli; il quattro incompiuti Prigioni di Firenze; l’Aurora e il Crepuscolo, il Giorno e la Notte della Sagrestia Nuova; la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro della Cappella Paolina; il Campidoglio, Porta Pia, le tre Pietà scolpite per proprio gusto. E dopo tutto questo flusso di immagini, la visione della basilica di San Pietro.