Veniamo al mondo e cresciamo convinti che il cielo ci possa donare tutta la felicità possibile su questa terra. Crediamo di dover essere felici e di meritarcelo, di poter desiderare quello che vogliamo e che ci verrà concesso. Capiamo più tardi che quest’effimera cosa che è la felicità è più fuggevole di una foglia portata via dal vento.
C. S. Lewis, nella sua opera The Problem of Pain (Il problema del dolore) uscito nel 1940, si interroga sulla costanza della sofferenza nella vita umana. Essendo parte della nostra condizione, Lewis teorizza sulla necessità del dolore come parte essenziale della nostra vita, come molla che mette in moto vari meccanismi e che accelera la capacità decisionale e la nostra volontà di scelta.
Lewis parte dall’idea paradossale con la quale nasciamo, quella di un dio che, essendo tale, possa donare la felicità a tutti gli esseri viventi. In realtà, nessuno è felice in modo perenne e definitivo. Tale paradosso suscita, secondo Lewis, un meccanismo di difesa e rinuncia che porta l’uomo a privarsi di determinate scelte e situazioni per evitare sofferenze e patimenti. A tale comportamento, Lewis ribatte fortemente, ribadendo più volte che “se provi ad escludere la possibilità del dolore che la natura stessa e l’esistenza del libero arbitrio presuppongono, scoprirai di avere escluso la vita stessa”.
In questo senso, Lewis lega la libertà individuale e la volontà alla scelta e all’ambiente circostante. Mondo e individuo per Lewis sono intimamente connessi. “La libertà di un individuo significa libertà di scegliere: scelta che implica l’esistenza di cose fra le quali scegliere. Una creatura senza il proprio ambiente non avrà scelte da fare”. Esistere, quindi, implica delle scelte fatte per nostra volontà in un ambiente che può esserci familiare o no. L’arbitrarietà di questo scegliere e i rischi che esso implica fanno sì che l’uomo si trovi ad agire e vivere in una situazione di gioia o di dolore.
Astenersi dallo scegliere, secondo Lewis, è come rinunciare a vivere. Correre dei rischi, incappare nel dolore e nella tristezza sono condizioni essenziali all’uomo per poter continuare ad operare delle scelte, migliorare la sua condizione, operare dei cambiamenti. In lotta con il mondo esterno, ognuno è chiamato a scontrarsi con la violenza del dolore che preconizza, nel suo acuirsi, la vicinanza della felicità. Scegliere significa concedere e sottrarre secondo la nostra volontà, senza però donare né privare tutto. Come in una partita a scacchi, dare e recuperare sono mosse necessarie per il gioco della vita.
Bisognerebbe usare quindi il dolore come un antidoto e una forza da cui attingere per ricominciare e continuare a scegliere. Scegliendo innanzitutto la vita e noi stessi. La sofferenza, in quanto tale, ci priva di qualcosa che abbiamo scelto e voluto con il nostro libero arbitrio. Da questa lotta impari fra ricerca della felicità e immanenza del dolore deriva paradossalmente la forza dell’uomo: quella del non arrendersi, del continuare a scegliere e, per questo, vivere.