Ho affrontato per la prima volta Finzioni di Borges sapendo poco o nulla dell’autore e della sua opera, se non qualche rumor di poca importanza. Chi abbia letto la raccolta di racconti di cui sto per parlare può ben capire, quindi, quanto grande sia stato lo mio spaesamento di fronte a Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, primo racconto della prima parte, intitolata Il giardino dei sentieri che si biforcano. Tuttavia, procedendo con la lettura, lo stile e i propositi dell’autore sono divenuti sempre più familiari e, se non chiari e limpidi, senza dubbio evidentemente capaci di portare con sé una gamma di significati e interpretazioni infinita.
Ogni racconto è una storia a sé, ma, nello stesso tempo, raccoglie e reinterpreta temi già discussi in precedenza, così come recupera personaggi, nomi e luoghi. Questa tecnica porta a donare un’organicità particolare ad un libro che si costituisce di parti così differenti. Devo ammettere che la raccolta di racconti non è il mio genere preferito; solitamente preferisco i romanzi, in particolare quelli molto lunghi, perché mi piace farmi rapire completamente e farmi coinvolgere il più possibile dalle vicende dei personaggi. Ma per Borges devo fare un’eccezione, perché il modo che ha di portare nero su bianco i grandi temi su cui ogni uomo si interroga è speciale, unico, avvolgente.
Non vi parlerò del mio preferito, intitolato La forma della spada, semplicemente perché parlarne porterebbe a rivelare la chiave, il mistero su cui si regge. Posso solo invitarvi a leggerlo; io ne sono rimasta folgorata, per la genialità e la perfezione dell’espediente di cui si serve. Scelgo di parlare di uno dei più famosi, La lotteria a Babilonia. In esso l’autore descrive una società in cui, gradualmente, ogni aspetto della vita quotidiana è stato affidato alla sorte, in un circolo senza fine in cui ogni estrazione arriva a generarne altre infinite: “In realtà, il numero dei sorteggi è infinito. Nessuna decisione è finale, tutte si ramificano in altre”. I costumi, il lavoro, la vita e la morte: tutto è saturo di caso, tutto si appella alla sola autorità costituita dalla lotteria. Essa è in grado di mostrare agli occhi del lettore anche le profonde contraddizioni della società. Quando infatti la lotteria era destinata ai soli ricchi (all’inizio infatti i biglietti avevano un prezzo, poi sono diventati gratuiti in quanto facenti parte dell’istituzione su cui l’intera società si reggeva), i poveri si battevano per ottenere anche loro il diritto a possedere questi biglietti. Tuttavia, a bene vedere, il possesso di quel pezzo di carta capace di decidere della tua sorte poteva anche ritorcersi contro di te: a poco a poco, infatti, la Compagnia (che emetteva i biglietti e dettava le regole) cominciò ad introdurre anche varie punizioni. Il racconto quindi si svolge seguendo la storia di questa lotteria, il cui intrico di falsità e caso porta addirittura a negare l’esistenza della città stessa. Un gigantesco paradosso, una società distopica, una critica morale e civile. In un racconto molto breve si racchiude una pluralità di significati enorme.
Potrei parlare per ore di questa raccolta, ma devo fermarmi. È un libricino che mi ha profondamente segnato, che continuerò a portare con me e a rileggere. L’ho già letto tre volte, e ogni volta ho scoperto qualcosa di nuovo e le mie riflessioni si sono fatte più ampie, più fertili. La genialità di Borges è fuori discussione. Amo profondamente questo libro e spero di essere riuscita a trasmettere un po’ di questo amore anche a voi.