Perché più bruci, per meglio sentirti,
perché sempre il cuor mi divida
il tuo taglio assetato di lama,
perché la notte smanioso
invano a cercarti io mi dibatta
e mi raggiunga l’alba
come una morte amica,
tregua non darmi, mia vita,
lasciami l’umiliata povertà,
le nere insonnie, le cure ed i mali.
Lasciami il delirante desiderio
che si gonfia in miraggi
e il timido sangue che s’agita ad ogni
soffio.
Perché più bruci, per meglio sentire
questo tuo bacio che torce e scolora,
ogni mia fibra consuma al tuo fuoco,
ogni pensiero soggioga ed annulla,
ogni tuo dolce, la pace e la gioia,
negami ancora.
Sergio Solmi
La preghiera alla e per la vita di un uomo d’azione.
Sergio Solmi, scomparso nel 1981, è stato un poeta e saggista italiano. Fu militante attivo nella Resistenza di cui cantò le imprese, in seguito anche alla detenzione presso il carcere di San Vittore. I suoi versi sono quelli di un testimone critico e consapevole di una generazione che ha fatto i conti con un mondo in pieno sconvolgimento. Senza drammatizzazioni, i suoi componimenti si fanno veicolo della visione partecipata di quell’epoca.
In questi celebri versi Solmi si rivolge direttamente alla vita. Quasi come con la divinità, la si invoca, la si prega.
I desideri espressi sono quantomeno inusuali. Il poeta chiede di sentire la vita, e per sentirla ha bisogno delle sue piaghe, dei suoi tormenti, delle sue fatiche. Forse che il dolore ci aiuta a vivere con più consapevolezza? Probabilmente.
Potremmo, infatti, interrogarci su che cosa ci stimola i sensi. Risponderemmo senza dubbio che sono le emozioni forti a scuotere dalle radici la nostra, altrimenti tiepida, esistenza.
“Bruciare” è la key-word di questo componimento. Tale verbo sintetizza perfettamente la preghiera, ne comprende precipuamente tutte le richieste.
Eppure anche chi non si sente un cuor di leone riconoscerà il messaggio immediato della poesia. Ancora una volta si tratta di un inno alla vita.
Certamente ci troviamo dinanzi ad una lode che cela tra le sue righe le chiare tracce di chi ha conservato col sacrificio il diritto alla vita, suo e quello degli altri.
Chi ha toccato la morte con mano diventa spesso, un paladino dell’esistenza umana, anche e soprattutto nelle sue pene, come in questo caso.
A ben guardare quindi non un semplice elogio, ma un documento, una testimonianza di sofferenza senza tragicità e di profondo e sincero ardore.
D’altra parte da un uomo della statura morale del Solmi non ci potevamo aspettare diversamente. Questa è l’unica preghiera autentica che poteva stillare dalla sua penna.