In un futuro non ben identificato una coppia di cittadini bianchi e i tre figli sono costretti ad abbandonare Johannesburg per seguire il proprio servitore nero, Luglio, nel suo paese natio. Si rintanano tra le ombre delle capanne di fango che popolano il villaggio a chilometri e chilometri dalla civiltà. Le rivoluzioni del popolo nero in atto nelle città li obbligano a nascondersi per non essere scovati e uccisi dai ribelli. Luglio, fedele servitore per quindici anni, non esita a fornire loro tutto ciò che è necessario per sopravvivere mettendo a disposizione la propria capanna, il proprio cibo, i propri servigi. Bam e Maureen Smales, borghesi progressisti, si adattano presto alla rude vita che impone la campagna africana, ma più difficile sarà gestire la nuova gerarchia dei rapporti, inevitabilmente ribaltata dalle condizioni in mutamento.
Nadine Gordimer è da poco scomparsa, novantenne e malata di cancro aveva già da qualche tempo detto addio alla scrittura. Vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1991 e attivista per l’abolizione delle politiche razziste fin dagli anni Settanta, in questo breve romanzo scritto all’inizio degli anni Ottanta prefigura uno scenario immaginario (ma non troppo) e che all’epoca fu bollato come arrogante da entrambe le barricate pro e contro apartheid. Le sue descrizioni dell’ambiente sono un tutt’uno con i suoi personaggi in lotta per sopravvivere. Ma se inizialmente la preoccupazione principale della famiglia Smales è quella di adattarsi ad una vita grezza e “selvaggia” a cui non erano abituati, con il passare del tempo la proprità cambia: non c’è spirito d’adattamento che tenga, è necessario che fuggano da un luogo dove non sono i benvenuti.
L’autrice sonda nello specifico la psicologia dei personaggi, in particolare quella di Maureen che si ritrova, a faccia a faccia con Luglio, a non riconoscere più il dipendende con cui aveva lavorato per tanti anni A contatto con il suo contesto, dove lui si fa necessario a loro come loro lo sono stati per lui, Luglio diventa un estraneo. Un individuo che Maureen pensava di aver capito pienamente e che credeva di soddisfare con il suo atteggiamento magnanimo e progressista. Ma le aspirazioni e l’autorità di quest’uomo diventano per lei una totale novità.
Nel suo profilo scuro, nel bianco dei suoi occhi sporgenti mostrati per un attimo e subito distolti, nell’atteggiamento doloroso della sua larga bocca sotto i larghi baffi, c’era un disprezzo e un’umiliazione che venivano dal loro sangue e dal suo. C’era, tra loro, lo stupore e il disagio di una situazione archetipa, simile alla resistenza di una vena entro la quale un ago sta scaricando una sostanza il cui flusso è contrario a quello del sangue che vi scorre; un sentimento brutalmente condiviso, uno non può sperimentarlo da solo, non può esserne punito, senza l’altro.
Non c’è dialogo né conciliazione fra gli adulti bianchi e la famiglia di Luglio. Solo i bambini, nella loro innocente ignoranza, sono in grado di stabilire dei rapporti di confidenza con gli altri giovani del villaggio. Sono gli unici a sapersi spogliare dell’ossessione per il possesso inculcata loro fin da piccoli, per riuscire a vivere a contatto con una cultura e mentalità lontana anni luce dalla loro. La Gordimer sembra voler mettere il dito nella piaga di un’incomunicabilità insormontabile.