«E per conseguente ell’è fra le figure la più acuta: però che l’altre quasi grammaticalmente si formano e si fermano nella superficie del vocabulo, ma questa riflessivamente penetra e investiga le più astruse nozioni per accoppiarle; e dove quelle investono i concetti di parole, questa veste le parole medesime di concetti»
Emanuele Tesauro nacque a Torino nel 1591 da una famiglia nobile. All’età di 20 anni entrò nella Compagnia di Gesù e nel 1631 diventò il predicatore ufficiale di Cristina di Savoia. Tuttavia, in seguito ad una polemica sorta all’interno della Compagnia, nel 1635 Tesauro abbandonò i Gesuiti, passando al servizio del principe Tommaso di Carignano. In seguito, l’incarico di precettore dei principi di Carignano gli consentì di dedicarsi ai propri studi fino alla morte, sopraggiunta nel 1675.
Per la sua poliedricità, Tesauro fu sicuramente uno degli intellettuali più significativi e influenti del Seicento. Scrisse molte opere, tra cui alcune di carattere storico ed erudito, come Il Regno d’Italia sotto i barbari (1669) e Campeggiamenti (1674). A queste si aggiungono anche alcune tragedie, raccolte in un volume nel 1661, e altre opere, come Filosofia morale (1670) e L‘arte delle lettere missive (1674). Tuttavia, lo scritto più significativo fu Il cannocchiale aristotelico (1655), in cui l’autore teorizza e sistematizza alcuni principi cardine della letteratura barocca, diventata espressione di una nuova sensibilità e non soltanto più una moda letteraria. L’opera, in particolare, è una trattazione delle forme e delle potenzialità della comunicazione, indagando soprattutto l’impiego metaforico del linguaggio e teorizzando l’elocuzione arguta e ingegnosa.
Questo trattato fu il prodotto della temperie culturale del Barocco: la nuova sensibilità e il nuovo clima culturale imposero infatti la ricerca di rinnovate modalità espressive. Pertanto, la metafora si configurò come la figura retorica per eccellenza, capace di esprimere la realtà mediante nuovi accostamenti di parole. L’uso delle figure retoriche permise così di dar voce a livello letterario alle connessioni e alle contraddizioni che regolano i rapporti tra le cose; per questo motivo l’impiego della metafora, come quello dell’ antitesi e dell’ossimoro, acquisì una funzione conoscitiva. Per l’uomo del Seicento, infatti, la realtà era costituita da una selva di segni e legami da interpretare: funzione della letteratura, come dell’arte in generale, era quella di svelare e spiegare i rapporti esistenti tra le cose. Inoltre, l’invenzione della metafora permise di creare nuovi legami tra significante e significato delle parole, dando il via allo sperimentalismo di nuove potenzialità significative.