Anno 1963: viene pubblicata una delle opere più discusse dell’immensa produzione di Italo Calvino, La giornata d’uno scrutatore. È un momento particolare nella vita pubblica del Calvino politico e scrittore: al progressivo distacco dal Partito Comunista Italiano si affianca un bisogno – personale e quindi anche artistico – di comprensione dei caratteri contraddittori della realtà. Italo Calvino vede, agli albori degli anni ’60, un intreccio nel mondo di possibilità diverse, che rifiuta di interpretare in modo unilaterale; guardare in faccia la problematicità del presente significa entrare fino in fondo nella rete di rapporti, condizioni e combinazioni della nuova società industriale.
Più che trovare risposte, Calvino cerca di porsi domande.
È quanto avviene ne La giornata d’uno scrutatore, racconto relativamente breve (un ottantina di pagine) scritto in terza persona. Estremamente compresso nello spazio e nel tempo, il romanzo racconta la giornata di Amerigo Ormea – intellettuale e militante del PCI, personaggio chiaramente autobiografico. Il protagonista veste il ruolo di scrutatore alle elezioni politiche del 1953 in un seggio elettorale situato in un famoso ospizio per minorati fisici e mentali, l’Istituto Cottolengo di Torino, gestito da un ordine religioso.
Di fronte alla sofferenza, Amerigo si interroga sul senso dell’azione politica. Inizialmente il suo intento è impedire che il voto dei degenti vada alla Democrazia Cristiana, su cui chiaramente l’Istituto vuole convergere i voti; successivamente, però, il protagonista si ripiega su se stesso in un vortice di riflessioni il cui perno è la sofferenza umana, la tribolazione quotidiana a cui la vista dei malati lo riconduce. Amerigo sembra avvertire una sorta di necessità di un impegno umano che tenga conto del male e della sofferenza, che riscatti anche chi vive in queste condizioni. La rabbia di essere testimone di un voto di costrizione (che chiaramente va ad un partito che non è quello del protagonista) porta lo scrutatore ad una generale riflessione sulla condizione umana e sulla vita stessa, sui veri valori e sull’amore (presente nel racconto attraverso una relazione turbinosa tra Amerigo e Lia).
Celebre la risposta all’interrogativo che l’uomo si pone su cosa sia l’umano e dove arrivi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo. È una conclusione che porta il protagonista lontano da quegli ideali politici a cui si era votato fino ad allora: il cinismo politico del voto imposto cede laddove Amerigo si rende testimone di altre scene, nelle quali domina un senso di profonda e commovente umanità. È una rivelazione che conduce l’intellettuale comunista lontano dai valori del razionalismo e del marxismo; un distacco che segna la crisi dell’impegno politico.
Nasce un nuovo Calvino, pronto a mettere sempre in discussione le proprie certezze.
E così, sulla vicenda di dieci anni prima, che aveva visto realmente un Calvino (militante e candidato del PCI) entrare al Cottolengo, si riflette la problematica sociale e intellettuale dell’Italia degli anni ’60, la prima Italia “moderna”: al di là dei temi del trattamento dei malati e dei loro diritti, di straordinaria attualità, Italo Calvino regala alla letteratura italiana l’immagine di un uomo in cui – ancora oggi – è facile riconoscersi.