Uscito nel 1979, La condizione post-moderna (Rapporto sul sapere) di Jean F. Lyotard si è imposto al grande pubblico europeo come il manifesto della post-modernità.
Ma cos’è la post-modernità? Il post-moderno è, prima di tutto, la fine della modernità, o se vogliamo il suo superamento. Il progetto della modernità consisteva nel conferire un senso unitario e globale alla realtà, attraverso quelle che Lyotard definisce “meta-narrazioni”: Illuminismo, o fiducia nella ragione umana; Idealismo, o fiducia nei valori ultimi delle cose; Marxismo, o fiducia in una società senza classi e senza Stato.
Questi grandi modelli narrativi, atti a spiegare la realtà in termini globali, sono decaduti. In termini weberiani, viviamo nell’epoca del disincanto. La perdita del loro statuto ha fatto emergere la pluralità culturale, tutte le sue differenze e contraddizioni, moltiplicando in questo modo le forme del sapere. La caduta delle meta-narrazioni ne è solo la premessa, ma il post-moderno si configura con caratteristiche ben precise.
Con post-moderno, Lyotard intende il potere che l’avanzamento tecnologico e scientifico esercita direttamente sulla vita umana e sulla scena culturale e politica. Automobili, missili o aerei è il sistema a produrli. Tutto ciò che è, invece, prodotto della nostra creatività, come l’arte, il cinema o la scrittura? Secondo Lyotard, questa è l’epoca in cui la logica della produzione scientifica e dello sviluppo hanno assoggettato ogni aspetto del sociale, così invasive da dettare nuove forme di relazioni umane e nuove condizioni materiali, attraverso le quali il “prodotto” artistico può circolare e essere smerciato dall’artista con più facilità. Il nuovo paradigma del sistema esige una merce che possa essere messa in circolazione. Ed è qui che subentra l’espressione “industria culturale”, ovvero una cultura in serie, omologata, prefabbricata, che stia al servizio del sistema e continui a essere fruibile alle grandi masse. Il filosofo evidenzia anche una necessaria “resistenza al sistema”, che sta ad indicare non soltanto una forma di adattamento, da parte dell’artista, ma anche una capacità di imporsi sul mercato culturale. Questo dovrebbe essere il compito delle avanguardie, che sono state progressivamente messe ai margini della scena culturale, decretando la vera crisi dell’Occidente.
Con la fine dei grandi sistemi teorici, Lyotard fa notare l’affermarsi, sempre più dilagante, di una molteplicità di linguaggi, fra loro incommensurabili e irriducibili. La politica e lo Stato decadano: senza un linguaggio proprio, che li identifichi come organi sociali di una particolare singolarità ed eccezionalità, perdono la loro centralizzazione. Ogni metafora tesa a interpretare il mondo e la sua storia è divenuta scontata.
Decisive sono le differenze tra il moderno e il post-moderno. L’idea per eccellenza dei moderni era la fiducia in una progressiva emancipazione umana; in loro era forte l’idea dell’imperfezione, ovvero della perfettibilità dell’individuo e della comunità; l’uomo moderno si definiva creatore della società e del suo destino, artefice dell’avanzamento democratico e del raggiungimento di ulteriori traguardi, aspirando a valori ultimi ed eterni; viveva esercitando la ragione, strumento di chiarificazione del mondo e di sé stesso.
L’essenza della condizione post-moderna è, invece, l’assenza di ogni chiarificazione, essendo stati rifiutati quei valori ultimi in grado non solo di chiarire, ma anche di fondare, di giustificare, di legittimare ogni aspetto della realtà, di orientare le idee e motivare i comportamenti. Questo nichilismo comporta, secondo il filosofo francese, una mancata interiorizzazione della tradizione culturale da parte dell’individuo. Inoltre, la fine della modernità e dei suoi valori coincide con la fine dell’autorità intellettuale. In una società che non fa più riferimento ai valori universali, ogni ricerca di verità e giustizia cessa di essere importante.
Altro aspetto considerevole è la “morte” del soggetto umano. Secondo Lyotard ed altri filosofi francesi, suoi contemporanei, gli individui delle società occidentali post-moderne sono affetti da una sorta di “patologia della personalità”, ovvero una frammentazione dell’identità. Le categorie dei secoli passati, come angoscia o alienazione, sono del tutto inadeguate. Il soggetto è “morto” nella misura in cui è frammentato, senza alcuna identità, un ibrido che la Storia non riesce a riconoscere.
Se il compito della Filosofia è di lanciare un monito, quello di quest’opera, nonostante resti implicito, è abbastanza chiaro. Spesso, nelle profonde analisi dei grandi pensatori del post-moderno, si celano preoccupazioni rivolte soprattutto ai giovani: essi, quelli che ci sono e quelli che verranno, non hanno più né i grandi maestri del passato, né i punti di riferimento nel presente.