You may write me down in history
With your bitter, twisted lies,
You may trod me in the very dirt
But still, like dust, I’ll rise.
Does my sadness upset you?
Why are you beset with gloom?
‘Cause I walk like I’ve got oil wells
Pumping in my living room.
Just like moons and like suns,
With the certainty of tides,
Just like hopes springing high,
Still I’ll rise.
Did you want to see me broken?
Bowed head and lowered eyes?
Shoulders falling down like teardrops,
Weakened by my soulful cries?
Does my haughtiness offend you?
Don’t you take it awful hard
‘Cause I laugh like I’ve got gold mines
Diggin’ in my own backyard.
You may shoot me with your words,
You may cut me with your eyes,
You may kill me with your hatefulness,
But still, like air, I’ll rise.
Does my sexiness upset you?
Does it come as a surprise
That I dance like I’ve got diamonds
At the meeting of my thighs?
Out of the huts of history’s shame I rise
Up from a past that’s rooted in pain
I rise
I’m a black ocean, leaping and wide,
Welling and swelling I bear in the tide.
Leaving behind nights of terror and fear
I rise
Into a daybreak that’s wondrously clear
I rise
Bringing the gifts that my ancestors gave,
I am the dream and the hope of the slave.
I rise
I rise
I rise.
Come una marea che inghiotte con la forza della sua vitalità le rovine di una costa infestata, Maya Angelou si unisce alle anime dei suoi antenati per rivendicare con orgoglio il diritto di gioire della propria esistenza. È un urlo che si eleva alto, “come le speranze” (Just like hopes springing high), come le lune e i soli che influenzano le maree (Just like moons and like suns, with the certainty of tides).
Cantava Nina Simone, “non ho padre o madre, soldi, cultura o nome, ma ho i miei capelli, le mie labbra, il mio naso, il mio sangue e ho la mia vita” (I ain’t got..I’ve got life). La stessa rivendicazione rivoluzionaria scorre tra le righe di Maya Angelou, che in “And Still I rise”, pubblicata nella raccolta omonima nel 1978, rivendica il diritto alla dignità che il razzismo ha tentato di rubarle con la schiavitù. Poetessa, scrittrice di diverse autobiografie (I know why the caged bird sing, la prima), cantante, ballerina in un night club, attivista…Maya, alla nascita Marguerite Johnson, ha vestito diversi volti, diversi colori che come i frammenti di un puzzle hanno costruito l’immagine di una delle donne più influenti nella cultura Afro-Americana. Fu James Baldwin a consigliarle di mettere nero su bianco i suoi pensieri, racconti di una vita sofferta, dallo stupro subito dal compagno della madre a 7 anni, ai 5 anni di mutismo che seguirono l’assassinio del patrigno. Così Maya iniziò ad osservare il mondo, uno sguardo acuto, combattivo, disarmante.
“And Still I rise” è la poesia da cui prende il nome l’omonima raccolta, in cui come un diamante perfetto risplendono le parole della sua battaglia. Potete scrivere il mio nome nell’ultima pagina del libro della storia (You may write me down in history), ma io mi risolleverò, come l’aria trasportata dal vento, come la polvere, la mia anima non si arrenderà alle vostre contorte, amare bugie. Così Angelou si riappropria della propria identità, guardando dall’alto i suoi persecutori, diventando tutt’uno con i suoi antenati, con chi prima di lei ha sofferto le pene della schiavitù. Angelou rifiuta la pesantezza delle pene subite, e le rigetta sulle spalle dei veri responsabili, guardandoli dritti in faccia. La mia tristezza vi turba? Volevate vedermi con la schiena rotta, le spalle abbassate e la testa china? (Did you want to see me broken? Bowed head and lowered eyes?Shoulders falling down like teardrops,weakened by my soulful cries?). Li sfida Angelou, in un testa a testa, con un orgoglio rinvigorito dalla sofferenza che sembra accrescere la sua forza. Forse quello che vi turba, afferma, è che io danzi come avessi diamanti la dove le mie cosce si incontrano ( I dance like I’ve got diamonds at the meeting of my thighs). La sensualità le ridà un aspetto materiale, una carnalità fiera che è il tratto tipico della sua scrittura. Come l’aria, come la marea, come il diamante che illumina la sua essenza, si rialza nel cielo che è di tutti e nessuno.
Fino a divenire una marea nera (black ocean), in un richiamo alla popolazione Afro-Americana che insieme a lei guida la rivoluzione, Maya Angelou risale in un onda che straripa di orgoglio per la propria esistenza, per essere riuscita a non abbassare la testa davanti a chi vive al sicuro nel rifugio di una storia scritta da pochi.
L’oceano, come le parole, è infinito, così abbiamo la fortuna di poter rileggere Maya Angelou infinite volte, dimenticandoci della sua morte, perché “quando le grandi anime muoiono..l’aria intorno a noi diventa più leggera, rarefatta, sterile”. Ma lentamente i nostri sensi, che mai più saranno gli stessi, si riprendono, e ci sussurrano che possiamo essere migliori perché quelle anime non sono svanite, esistono ancora. (“When great trees fall”, Maya Angelou).