Quindici giorni passano così in fretta, a volte, che il giovedì è vicino e ancora non ho buttato giù la mia “spigolatura”. Non perché non abbia letto (questo non accade mai, infatti Kobo mi ha mandato un riconoscimento nel quale mi definisce “macchina da lettura” perché da quando ci frequentiamo ho raggiunto e superato le diecimila pagine), ma perché non ho avuto tempo per appuntare da qualche parte i pensieri che mi svolazzano in mente.
Il corpo umano, di Paolo Giordano (Mondadori), è il romanzo che sto leggendo in questi giorni; racconta la storia di un plotone di giovani soldati inviati in Afghanistan. Ciascuno ha nel bagaglio problemi irrisolti e conflitti di varia natura. C’è quello che ha un legame complicato e un po’ malsano con la madre. Quello in fuga dai sentimenti. Quello terrorizzato, la vittima designata, sottoposto ad angherie di ogni tipo. C’è il prepotente, c’è l’inesperto, c’è una donna, l’unica, che gli altri lasciano abbastanza in pace, eccetto qualche frecciata che ne mette in dubbio la femminilità e qualche sopruso del capitano troppo immedesimato nel ruolo del cattivo alla Full metal jacket. Ci sono sogni, speranze, paure, stanchezze, malesseri antichi e malesseri che sembrano nascere lì, nel “recinto di sabbia”.
Ancora non so come va a finire questo romanzo. E non mi sembra la cosa più importane. Magari da qui a giovedì, quando queste note dovranno essere pubblicate, lo saprò. Ma nessuno dei potenziali lettori vorrà sapere in anticipo se i conflitti personali dei protagonisti saranno assorbiti dal conflitto armato con un nemico sfuggente e spietato o se esploderanno con virulenza ancora maggiore, se qualcuno morirà, se qualcuno tornerà migliore o peggiore dall’inferno. Ogni lettore vorrà scoprire da solo se il guscio di solitudine che imbozzola ciascuno dei soldati disegnati da Paolo Giordano con mano sicura è destinato a creparsi per alcuni e a calcificarsi ancor più per altri. Tutto quello che posso dire è che secondo me vale la pena di leggere questo romanzo.
Rosalia Messina