Lo stile acquista una particolare importanza nel testo letterario perché il romanziere e il poeta compiono una scelta rispetto alle infinite possibilità offerte dalla lingua. Le scelte espressive dipendono dalla coscienza che l’autore ha della propria opera, dal pubblico al quale intende rivolgersi, dalle circostanze storiche in cui opera.
Si possono analizzare alcuni passi, particolarmente significativi, di alcuni scrittori che hanno sentito il bisogno di piegare la lingua alle proprie necessità espressive, per esprimere più liberamente il proprio messaggio. Il codice lingua diventa così non solo strumento generale di comunicazione, ma mezzo soggettivo, perché lo scrittore vuole imprimergli un’impronta personale, creando il suo stile.
“Il conte Andrea Sperelli- Fieschi d’Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizione familiare. Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovane signore italiano nel XIX secolo, il legittimo campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, l’ultimo discendente d’una razza intellettuale. Egli era, per così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza, nutrita di studii vari e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò, fino a’ venti anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e costrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizii, l’avidità del piacere.”
In questo brano, tratto da Il piacere, si può cogliere qualche caratteristica linguistica tipica del D’Annunzio: le forme verbali sono complesse, le frasi elaborate. Le scelte stilistiche dell’autore sono orientate ad allontanare la sua lingua dalla società di massa.
“I marciapiedi erano affollati, la strada rigurgitava di veicoli, era il momento del massimo traffico; senza ombrello, sotto la pioggia, Michele camminava con lentezza come se fosse stata una giornata di sole, guardando oziosamente le vetrine dei negozi, le donne, le réclames luminose sospese nell’oscurità; ma per quanti sforzi facesse non gli riusciva d’interessarsi a questo vecchio spettacolo della strada; l’angoscia che l’aveva invaso senza ragione, mentre se ne andava attraverso i saloni vuoti dell’albergo, non lo lasciava; la propria immagine, quel che veramente era e non poteva dimenticar di essere , lo perseguitava; ecco, gli pareva di vedersi: solo, miserabile, indifferente.”
In questo testo di Moravia, tratto da Gli indifferenti, l’autore fa una precisa scelta espressiva e linguistica: le frasi devono essere brevi, di struttura non complessa, con parole d’uso comune. Uno stile piano e semplice, a prima vista quasi banale, in realtà frutto di classica misura.
“Passammo di dietro alla casa, per una strada che scendeva, e andando tra muri d’orti, arrivammo a una porta e bussammo. La porta si aprì. Dentro era buio, e io non vidi chi ci avesse aperto. Non c’era finestra; c’era solo, nell’alto della porta, uno sportello con un vetro nerastro, e io non vidi nulla, non vidi più nemmeno mia madre. La sentivo però parlare. – Ho con me mio figlio- disse. Poi chiese: – Come sta vostro marito?-. – Al solito, Concezione – rispose una voce di donna. Ed esclamò: – Che grande figlio avete! –. E dal fondo una voce d’uomo disse: – Sono qui a letto, Concezione –. Era sotterranea, e disse ancora: – E’ figlio vostro, quello? -. – E’ Silvestro – mia madre disse. Parlavano lontane da me, tutte e tre le voci, ed erano di creature invisibili. Anche di me parlavano. – L’avete fatto grande come voi! – disse la voce di donna.”
Lo stile del Vittorini, come si evince dal brano tratto da Conversazione in Sicilia, si caratterizza soprattutto nella costruzione sintattica, dominata dalla paratassi. La prosa risulta musicale e suggestiva tanto da coinvolgere intensamente il lettore, rendendo il messaggio più persuasivo e convincente.